mercoledì, maggio 12, 2021

Tiji Festival Upper Mustang

Il festival di Tiji si svolge ogni anno a Lo Manthang nel mese di maggio, è un esempio cardine di quanto la cultura Lopa sia intrisa di religione Buddhista e sia vicina al Tibet. Il Tiji è il festival più importante dell’Upper Mustang e vi partecipa il grosso della popolazione della regione che per l’occasione accorre e affolla la piccola capitale del regno di Lo. Questa festa celebra Palchen Dorje Chono, una divinità che combattette e vinse contro il demone Tharpa Nagpo Rutha salvando il Mustang dalla distruzione. Questo demone coi suoi poteri inflisse al Mustang un periodo di gran siccità in cui non piovve per molto tempo, causando una grave carestia, morte di molte delle colture e degli animali che venivano allevati nel Regno di Lo.

Dorje Chono e i suoi discepoli fecero una serie di riti magici per allontanare questo demone dal regno, riti che sono simboleggiati dalle 52 danze che vengono rappresentate ogni anno durante il Tiji. Il Tiji tra l’altro segna il momento di passaggio tra la stagione secca invernale e l’estate piovosa e fertile.

Il Tiji viene rappresentato nella piazza principale di Lo Manthang. Il primo giorno corni, tamburi e cimbali annunciano l’inizio del festival che è simboleggiato dallo srotolamento di un enorme Tangka che rappresenta il Guru Rimpoche, nella parete sud della piazza della cittadina. I monaci prendono posto sotto il tangka e iniziano i canti propiziatori. 

Nel primo giorno del Tiji vengono rappresentate tre danze rituali. Dorje Chono e altri 12 monaci escono dal palazzo reale e tutti indossano dei cappelli a forma di cimbali decorati con piume di pavone. A questo punto iniziano la prima danza propiziatoria. Quando loro finiscono e rientrano nel Palazzo Reale, escono degli altri monaci mascherati con costumi tantrici. Il protagonista principale della seconda danza rappresentata in questo primo giorno di Tiji è un monaco mascherato da Yama, il Dio della morte. In seguito l’ultima danza viene rappresentata sempre da Dorje Chonoe dai suoi discepoli che saltano e compongono cerchi mentre ballano raffigurando un mandala.

Il primo giorno del Tiji, può risultare un po’ ripetitivo se non si conoscono i significati delle tre lunghe danze. Si deve tener presente che queste danze, dette Cham, sono oltre che propiziatorie e divinatorie anche didattiche per il popolo, rappresentano sempre la lunga lotta tra il bene e il male in cui è sempre il bene a trionfare e sono tratte da antiche tradizioni orali che si mescolano agli antichi testi tantrici Buddhisti.

Il secondo giorno del Tiji è bello pieno, con 46 danze, la piazza viene addobbata e molti pellegrini arrivano dalle zone limitrofe e dai villaggi più lontani. All’inizio di questo 2° giorno, un nuovo enorme tangka viene srotolato e appeso sulla parete sud della piazza, E’ un tangka più nuovo degli anni 30’ e rappresenta sempre il Guru Rimpoche. Nel pomeriggio Dorje Jono e i suoi discepoli con i cappelli adornati di piume di pavone danzano ancora, poi Dorje Jono prega con due dei monaci più anziani.

Al festival per tradizione partecipa la famiglia reale del Mustang. Nel pomeriggio vengono messe in scena delle performances teatrali, alcune comiche, per intrattenere la folla di pellegrini. Alcune molto moderne che mimano la gente locale e il contatto coi turisti che dal loro zainetto estraggono le macchine fotografiche per fare foto ai Lopa. Sono scenette esilaranti e molto attuali.

Poi si ritorna alle cose serie. Viene allestita una rappresentazione in cui il demone Tharpa sotto le spoglie di una bambola di stoffa sta al centro della piazza e inizia un Durdak Cham dove due scheletri, i chitipati, simbolo dei protettori della religione si alleano insieme e uniscono le forze per attaccare il demone. Simbolicamente legano due cordini alle braccia del pupazzo che rappresenta il demone e lo fanno volteggiare in aria contendendoselo per poi farlo cadere rovinosamente a terra.

Le rappresentazioni sacre si susseguono per tutta la giornata intervallate da spezzoni a opera di clown che allentano un po’ la drammaticità degli atti a sfondo epico/religioso.

Nel terzo giorno del festival i monaci si dispongono al centro dell’area della piazza. C’è anche il Lama del Chyodi Gompa che prende parte ai canti propiziatori. Dorje Chono nel 3° giorno del festival passa la prima ora tra preghiere e danze in cui balla molto lentamente. Prega per più di un’ora una Torma (una sorta di torta sacra fatta di burro e orzo) che rappresenta le sembianze del Demone che ha portato siccità e morte in Mustang, poi dopo che ha per così dire “ammorbidito” il demone con le sue preghiere, cosparge la torma di sale. Poi prende uno stiletto, il Phurba e inizia a muoverlo verso l’effigie del demone, poi gli trafigge il cuore, e con un altro phurba e lo trafigge nuovamente, e poi ancora un altro. Infine conficca circa 20 stiletti nel demone, poi gli taglia la testa, le gambe e le braccia e riduce i resti in 1000 pezzi che vengono poi raggruppati in 5 parti.

A questo punto i monaci a fine giornata lasciano la piazza uscendo dalla porta della città. 

Dorje Chono guida i monaci fuori dalla città. Poi prende un arco e una freccia e colpisce il fantoccio che simboleggia il Demone e poi prende una fionda e lancia tre sassi sui resti del Demone.

Poi prega sui 5 resti del demone e poi li mette in un mucchietto a terra.

Infine prende una pelle di tigre e ci raccoglie su i resti del demone. Ora è soddisfatto. Ha ucciso il Demone e liberato le genti del Mustang dal suo potere e dominio.

Dopo aver ucciso il demone, Dorje Chono e i monaci ritornano nella pizza principale di Lo Manthang e lui riceve le Khata benedette dalla gente e dai pellegrini, e la rappresentazione sacra in cui il bene ha vinto sul male viene ad essere conclusa.

lunedì, maggio 10, 2021

Lo Manthang la capitale dell'Upper Mustang

Lo Manthang, la capitale del Regno di Lo, si raggiunge in 5 giorni a piedi da Jomsom, in poco meno di 100km a piedi.

Appena valicato l’ultimo passo, Lo Manthang appare adagiata in un altopiano dai colori pastello che toglie davvero il fiato e ti fa sentire come se entrassi in un acquarello. Il paesaggio è surreale.

La cittadina è circondata da mura un tempo fortificate e qui la vita scorre lenta attorno al palazzo reale, oramai disabitato ma dove fino a qualche anno fa, prima che il Re morisse, si poteva passare qualche ora in regale compagnia per un tea. Evento e episodio al limite del surreale ai nostri tempi.

La città ha tre bellissimi Gompa da visitare e in cui fermarsi a meditare o anche solo a pensare che siamo in un luogo perso nel tempo e nello spazio, un miracolo nepalese:

Il Thubcen Gompa, il Jampa Lhakhang ed il Chode Gompa

Questi splendidi palazzi raccolgono testimonianze di inestimabile valore artistico, storico e culturale e sono stati a lungo protetti e oggetto di restauro da parte di progetti dell'American Himalayan Foundation curati da un nostro connazionale, Luigi Fieni, un grande professionista, ma soprattutto un grande uomo dotato di grande sensibilità, dedizione e amore per la cultura che in 20 anni di lavoro ha cercato di preservare. Vedetevi il suo sito e i suoi lavori qui. Io ho avuto la gran fortuna di conoscerlo di persona e sarò sempre grata al Karma per questo incontro prezioso. 

Il Chode Gompa è detto anche Dragkar-Thegchen Ling, che è nel quartiere monastico, è sede della scuola monastica del Mustang, e il suo vecchio Gompa con la sala delle Assemblee è bellissimo. Qui c’è anche un piccolo museo dove sono conservate le antiche maschere cerimoniali per i Cham, le danze sacre che vengono inscenate dai monaci durante il Tiji festival. Fu costruito durante il regno del primo Re del Mustang, Ama Pal, ed è il monastero più grande della città, dove risiedono i Lama più importanti.

Il Jampa Lhakhang è un Gompa a tre piani alto una ventina di metri che fu costruito nel 1447 durante il regno del 2° figlio di Ama Pal, Angon Sangpo, e la sua cappella è principalmente usata per la meditazione. Al secondo piano nel Lakhang c’è una grande statua di Maitreya il Buddha del Futuro, che è alta circa 10 metri e all’ultimo piano ci sono numerosi affreschi con 28 mandala tantrici molto potenti, 7 nella parete est, 7 nella sud, 4 nella nord e 10 nella ovest. Tutti raffigurano varie forme di Yab-Yum, l‘unione tantrica delle divinità. Sotto i mandala sono affrescati numerosi tondi con figure sacre.

Il mandala è la rappresentazione Buddhista dell’Universo, un cosmogramma che con le sue linee, colori e disegni rappresenta l’esistenza ed è usato per la meditazione tantrica e i riti di iniziazione. La creazione di un mandala in un luogo consacrato è considerata di buon auspicio e di grande beneficio a tutti gli esseri viventi. Io ne ho visto uno di sabbia proprio al vecchio Chode Gompa.

Uno dei mandala che da più all’occhio nel Jampa Lhakhang è quello che raffigura Yamantaka, una delle feroci emanazioni di Manjushri, il Bodhisattva della conoscenza. Lei conquistò Yama facendolo morire dalla paura. Chi medita con la potenza di questo mandala spera di raggiungere una forza tale da non temere la morte. Yamantaka ha nove teste, quella principale è una testa di toro, tra le sue corna, ce n’è un’altra orrorifica rossa e sopra questa testa, la testa di Manjushri. Ognuna delle sue 34 braccia sostiene armi e simboli di potere.

Il Thubchen Gompa è un unico grande Dhukhang, ovvero sala delle assemblee Sakyapa, è abbellito da 35 enormi colonne lignee intarsiate con potenti mantra e ha le pareti completamente coperte di affreschi in oro argento e colori naturali. Fu costruito durante il regno del 3° Re di Lo Tashi Go nel 15° secolo. All’ingresso ha 4 immagini dei 4 Re guardiani e la statua principale al suo interno è quella di Padmasambhava, il Guru Rimpoche e alla sua destra vi è una statua di Amitayus, il Buddha della lunga vita, e alla sua destra vi è Hayagriva in yam-yum. Vi sono inoltre varie immagini di Avalokiteswara, il Bodhisattwa della compassione.


Stare qualche giorno nella capitale del regno di Lo è un regalo che ogni essere umano dovrebbe farsi almeno una volta nella vita.



mercoledì, maggio 05, 2021

Kagbeni: la porta dell'Upper Mustang

La porta del Regno di Lo è Kagbeni, che già dal suo nome sta a indicare di essere un punto di passaggio, una porta, e allo stesso tempo un punto di congiunzione tra due mondi.

“Kag” in lingua tibetana vuol dire blocco stop e “beni” in Nepali vuol dire sacro congiungimento.

Kagbeni è il punto di passaggio, il blocco tra Nepal e Regno di Lo, e giace sul punto in cui il Kali Gandaki river, che nasce nel sacro lago Damodar nell’alto Mustang, si incontra col Muktinath kola, il torrente che scende dalla sacra Muktinath che giace ai piedi del Thorung.

Un tempo era nodo importante sulla via carovaniera tra Tibet e Nepal ed è nata come città fortificata munita di mura di cinta, che oramai sono decrepite.

Il villaggio che è un bell’esempio dei tipici villaggi Lopa, si apre dopo il Chorten di ingresso e si snoda tra un dedalo di viette cunicoli e stradine che collegano insieme le poco più di un centinaio di abitazioni. Con l’immancabile figura protettrice del villaggio, i piccoli Chorten, il muro mani e le ruote di preghiera.

All’ombra del massiccio di 7000 metri del Nilgiri, è un villaggio che è fermo come un fotogramma di altri tempi.

Già solo la vista che si gode dal suo Gompa vale la scarpinata di tre ore a piedi che si deve fare per giungere qui da Jomsom. Il panorama si perde a nord sulle argentee acque del Kali Gandaki e a sud sui ghiacci del Nilgiri. Il Gompa Kag Chode Thupten Samphel Ling risale al 1429 e contiene un numero imprecisato di statue, affreschi e tangka antichi di pregevole fattura e di gran valore storico artistico.

Vi è anche un tempio induista dedicato a Lord Shiva, che sta proprio sulle rive del Kali Gandaki ai piedi del ponte Tibetano che porta al sentiero per il villaggio di Tiri. Questo tempio è meta immancabile per i pellegrini indiani che fanno sosta a Kagbeni in mattinata sulla via per il loro pellegrinaggio a Muktinath.

Fino al 1992 non era possibile oltrepassare Kagbeni, che era un vero e proprio punto di stop oltre il quale, intatto e protetto, si estendeva il regno di Lo, l’Upper Mustang.

Qui inizia il vero e proprio trekking in Upper Mustang.

Oltre Kagbeni si apre un mondo di deserti in quota, intervallati dalle oasi verdi dei villaggi che pian piano si innalzano fino ad arrivare alla capitale Lo Manthang, cittadina fortificata a oltre 3700 metri di quota dove risiede tutt’ora il Re di questo regno incantato.

martedì, maggio 04, 2021

Upper Mustang: il Regno di Lo

Un po' di Storia e Notizie sull'Upper Mustang

Un tempo regno indipendente, terra sull'antica rotta commerciale tra Tibet e le pianure del sud del subcontinente indiano, terra di buddhismo della scuola Sakyapa, nascondiglio degli antichi guerrieri Khampa e luogo mistico che è stato frequentato da saggi quali Milarepa e Padmasambhava, è aperto al turismo solo dal 1992. Le sue valli verdi tra le aride montagne ocra e rosse sono popolate da genti tibetane, i Lopa. Per arrivarci occorre raggiungere Pokhara (6 ore di minibus o 8 di bus pubblico da Kathmandu oppure molto più velocemente in volo sempre da Kathmandu) e da qui in jeep o in volo a Jomsom, il punto di inizio da cui incominciare la visita di questa incantata regione del transhimalaya che si trova raccolta e protetta dai massicci degli Annapurna e del Dhaulagiri.
"Lo" è una parola sul cui significato si sprecano varie teorie. Le due più accreditate sono che abbia derivazione Tibetana, Lo=meridione, quindi Regno Meridionale, I Lopa invece dicono che Lo vuol dire semplicemente “luogo” e il loro nome non è genti del sud ma “genti del luogo”. Mustang invece pare essere solamente una translitterazione del nome della capitale del regno, Manthang.
Un tempo il Mustang, detto anche Lo Tso Dyun, ovvero i 7 distretti di Lo, come erano l’Alto Dolpo, il Ladakh, lo Zanskar, il Sikkim e il Bhutan, era parte della periferia del Tibet e precisamente della regione dello Ngari, quella dove svetta il monte Kailash, ora il Mustang è un angolo di mondo in cui è rimasto conservato quello che in Tibet è andato inesorabilmente distrutto: cultura, tradizione e monumenti storici. Il Regno di Lo si trova menzionato nelle cronache tibetane e ladakhe del 7° secolo e la sua storia come regno indipendente inizia nel 1380 quando fu fondato da Ama Pal, un guerriero e devoto Buddhista del Tibet occidentale. Si racconta che con i suoi figli sconfisse il feudo locale e costruì la città fortificata di Lo Manthang, dove chiamò a se Ngorchen Kunga Sanpo, un rinomato maestro Sakyapa che venne a insegnare i precetti Buddhisti nel regno di Lo.
I passi montani alla frontiera nord, relativamente facili da valicare hanno reso da subito questo regno una terra strategica di passaggio delle rotte commerciali tra Tibet e India e ora lo sono molto di più, soprattutto per il Governo Cinese. In passato molti Lama di Lo andarono a studiare in Tibet e maestri provenienti da nord e da sud attraversarono questo regno incantato. Sovente subì attacchi dai banditi e per questo venne stabilito che la capitale restasse chiusa durante la notte, e lo è stata fino a pochi decenni fa.
I discendenti di Ama Pal hanno governato questo regno himalayano fino al 1700, tempo in cui cadde sotto l’influenza di Jumla prima, e poi dei Gurka sotto Prithvi Narayan Sha, che gli imposero un tributo annuale, pur mantenendo intatta l’autonomia del Regno e la sua struttura. Fu solo negli anni 50 dopo la cacciata dei Rana e la creazione della monarchia costituzionale, che il regno venne effettivamente annesso al Nepal, pur comunque sempre restando regione autonoma e area protetta, con il suo Re che mantenne però titolo nobiliare e funzione amministrativa, ma non più governativa. Nel 1959 dopo l’occupazione cinese del Tibet, molti profughi trovarono rifugio qui e i Guerrieri Kampa tentarono di organizzare una resistenza al governo di Pechino proprio qui in Mustang, fecero una dura opposizione per quasi 20anni, fino al 1974. Poi l’intervento del Dalai Lama fece sì che loro deponessero pacificamente le armi e accantonassero ogni desiderio di ribellione nei confronti di Pechino. Ora molti loro discendenti ora abitano le Valli di Lo.
Negli anni '90 quando venne introdotta in Nepal la democrazia parlamentare, l’Upper Mustang venne aperto al mondo, con accesso limitato a 1000 unità all’anno, entrò a far parte dell’Annapurna Conservation Area Project (ACAP) e venne stabilito che per entrarvi ci sarebbe stato un tributo da pagare che allora ammontava a 700 USD a testa valido per 10 giorni (ora 500) e 50 USD al giorno per ogni giorno in più di permanenza nell’area.
I Lopa, le genti che vivono qui, nei 31 assembramenti del Mustang, sono divisi in clan e gruppi che hanno divisione sociale del tutto analoga al Tibet, ad esempio i popolani sono accomunati gruppi tra loro simili per il mestiere che svolgono, i Ghara, gli Shemba e gli Emeta (fabbri, macellai, musicisti), i Dropka che sono i nomadi allevatori hanno ruolo privilegiato nella società Lopa proprio come in Tibet, i Phalwa sono la middle class e i Kudak sono i nobili, e qui a Lo, dopo l’annessione al Nepal, hanno assunto il nome Nepalese di Bista. L’attuale Re è Jigmi Palbar Bista. Qui inoltre è ancora diffusa la Poliandria, come in Dolpo, per cui una donna può sposare anche i fratelli del marito per non disperdere le proprietà.
I Lopa mantengono quindi intatte tradizioni, usanze, riti, ritmi di vita che sembrano essere fermi a quello che doveva essere il medioevo himalayano.
Per lo più sono dediti all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. Una leggenda, che è più una verità che una storia, dice che per ogni abitante di Lo Manthang ci siano 10 animali. Riti e vita mescolati insieme.
Gli abiti Lopa sono tibetani. Le donne usano la Chupa, la tunica grigia fatta a vestaglia che si lega in vita con una cinta multicolore, la kow, e quelle sposate usano il grembiule di lana a righe colorate orizzontali, il ponding, in testa portano la shamu, una cuffietta di stoffa di solito verde e nelle occasioni speciali acconciano i capelli con il suele, una striscia di stoffa rettangolare su cui sono cuciti turchesi e pietre dure, una sorta di Perak Ladakho, però molto più fine e elegante. Anche gli uomini indossano la tunica, la stessa che portano i tibetani. Tutti i villaggi sono strutturati secondo l’urbanistica tipica del Tibet.
Hanno mura di cinta, ora in parte crollate dall’usura dei forti venti che iniziano a soffiare puntuali come orologi svizzeri intorno alle 11.00 del mattino prendendo sempre più forza, fino a poi andare scemando verso prima del tramonto, riportando nel silenzio la grande e stretta valle che porta alla capitale dell’antico regno di Lo.
La cinta muraria più bella e intatta è ovviamente quella della capitale Lo Manthang. Ogni città ha un Chorten al suo ingresso e uno alla sua uscita che va attraversato per entrarvi e uscirvi. I Chorten sono affrescati con mandala e figure religiose che fungono da protezione alla città, e ogni villaggio ha gruppi di chorten interni e muro mani con ruote di preghiera nella via principale.
I chorten e il grosso dei monumenti sono di evidente cultura Sakyapa, che in Tibet, Sakya a parte, è andata quasi del tutto distrutta. La si riconosce per la struttura massiccia degli edifici e per la colorazione con cui sono intonacati: a righe verticali bianche rosse e grigie, tipiche di questa setta Buddhista.
Vi è inoltre quasi sempre una figura protettiva all’ingresso dei villaggi che spesso ha corna vistose e serve per scacciare gli spiriti cattivi.
Gli ingressi delle case invece hanno spesso appeso un teschio di bovide sopra la porta principale, che serve per proteggere la casa che di solito è sormontato da un Dow una struttura a croce decorata con fili intrecciati che serve per catturare gli spiriti cattivi.
Qui notiamo come l’antico animismo si fonda nelle tradizioni successive Buddhiste con una semplicità davvero disarmante.
Queste testimonianze sono uniche e ormai restano custodite solo qui, in Mustang. Tutto questo rischia di andare perso per sempre.
Leggete qui per scoprire il perché: la strada in Upper Mustang

lunedì, maggio 03, 2021

I Raute, gli ultimi nomadi dell'Himalaya

Quando decisi di incamminarmi sulla via del Rara Lake, grazie a un articolo uscito su Panorama da parte del fotografo Jan Moeller Hansen, mi ritornarono alla mente i Raute, un piccolo e disperso gruppo etnico che vive tra i distretti di Dailakh e di Achham e che è a rischio di scomparire dalla faccia della Terra. 
Era da una vita che cercavo di entrarvi a contatto e fino a qualche anno fa era decisamente cosa difficoltosa, anche perché fino ad allora questo gruppo etnico non era protetto e la gente che vi apparteneva ha sempre avuto timore del mondo esterno, proprio per proteggersi.
Questa etnia è davvero una minoranza, vi fanno parte circa 650/700 persone e di loro non credo più di 150 unità sono rimaste in stato di nomadismo. Sono gli ultimi nomadi rimasti in Nepal che non sono ancora diventati stanziali. 
I raute hanno una lingua, anch'essa rischia di scomparire come loro e fino ad allora solo alcuni fotografi sono stati ammessi ai loro campi. 
Questa etnia, nonostante tutto ha conservato alcune caratteristiche che la rendono ancora unica e stra interessante per qualsiasi studioso di antropologia.

I Raute si nutrono di carne di primati (scimmie) e di radici. Praticano ancora il baratto, ed essendo abili intagliatori, scambiando i loro manufatti in legno con farina e cibo nei villaggi vicini ai loro campi.
Il loro nomadismo, oltre ad essere legato al loro stretto sostentamento e alla natura, è anche legato al fatto che non vogliono permanere nei luoghi dove sono morti e sepolti i loro simili. Appena uno di loro muore, viene sepolto e loro spostano subito il campo in una altro luogo. Inoltre, come scrivevo, si spostano anche in rispetto delle foreste che li ospitano, in modo tale da non depauperare le risorse che l'ambiente e la natura offre loro, inoltre i campi li scelgono nei pressi di fonti d'acqua naturali, dove loro raccolgono l'acqua per bere. 
I Raute, nonostante adorino elementi della natura, quindi Sole, Terra, Foreste, Fiumi, sono di matrice Hindu e hanno gli stessi festival che sono osservati dalle altre etnie induiste nepalesi. Sono infatti soliti  recarsi nei villaggi vicini ai loro campi per parteciparvi e per sfoggiare le loro danze tipiche che vengono molto apprezzate dalle popolazioni stanziali.

Nelle loro comunità le donne sono ben considerate, e questo è molto bello dato che comunque non hanno nessun tipo di istruzione. I giovani vivono liberamente fino a circa 14 anni, e nessuno di loro va a scuola, ne ha incombenze da ricoprire nella comunità. 
I Raute da qualche anno sono protetti da un progetto che cerca di salvaguardare la loro peculiarità e le foreste dove queste tribù vivono, il Conservation of Raute Culture through Livelihood Improvement, di cui l'NTB (Nepal Tourism Board) è stato anche sostenitore.
Riuscire ad incontrarli è davvero un privilegio che segna l'anima e il cuore a chi vi riesce
thanks to Jan Møeller Hansen for the pictures