Sono tornata dal mio viaggione a fine agosto ed è stato massacrante.
Ai primi del mese ero a Istanbul a bere il tea alla mela e a fumarmi il narghilè al gran bazar. Istanbul un buon posto da dove iniziare. Mi sono detta che prima della fine dell’anno ci sarei tornata con Raj Kumar per assaporarmela con lui, questa magica città che è il punto d’incontro tra oriente e occidente e che è stata la prima microtappa nella mia Via della Seta, prima di approdare in Cina.
Il clima in Cina ti m
Per mangiare troviamo ciò che dovrebbe essere l’equivalente di una trattoria di quartiere. Ovviamente posate ZERO, INGLESE ZERO. Guardiamo nel piatto del vicino per ordinare qualcosa di commestibile e per l’acqua vado direttamente in cucina, apro il frigorifero e mi prendo ciò che serve...perché neanche indicandogliela col ditino mi capiscono che voglio ACQUA. FANTASTICO!
A pranzo passeggio in Tienamen, non ho mai visto una piazza così grande, così immensa, mi ci perdo. Ci fanno dei controlli come in aeroporto. C’è molta gente, ma lì è talmente grande che non sembra neanche affollata. Ci sono le sculture di fiori per le olimpiadi...ONE WORLD ONE DREAM...che scenografie. La gigantografia del visetto di Mao è sempre lì...sulla porta della città proibita. La rivoluzione culturale...lo stravolgimento culturale. W la repubblica popolare cinese. Sulla guida c’è scritto che gli ideogrammi alla sinistra di Mao recitano proprio così. Bandiere rosse ovunque. Strano però ho visto solo 3 o 4 biciclette...ma la Cina in bici? Che fine hanno fatto i reggimenti di cinesi in bicicletta?? La foschia c’è perché son sparite le biciclette...Ricordo, mentre guardo la piazza a perdita d’occhio...ricordo Tienamen...
L’ingresso alla città proibita è anch’esso enorme...e il cortile interno che ti si apre alla vista è un altro spazio immenso. Le scalinate e la rampa attraverso cui portavano l’imperatore...rivedo i fotogrammi del film “L’ultimo imperatore”, immagino come doveva essere quando davvero era FORBIDDEN. Qui dentro si fa un balzo indietro nel tempo. Tutte le colonnine di marmo e i draghi...immagino le fontane d’acqua che si formano dalle bocche dei draghi durante la pioggia. La città proibita è una città nella città. Ci sono militari ovunque. Spesso ci cacciano perché o lì o là non si può guardare o non si può andare. Quando esco sono stravolta. Mi ritrovo nel pomeriggio in una via affollata di Pechino con tanta fame. Pechino sotto olimpiadi è dura. Mega schermi ovunque... sulle pareti dei palazzi.
C’è un enorme catena di ristoranti sottoterra, tutti insieme...un centro commerciale sotterraneo fatto di soli ristoranti. Sui banconi in fila ci sono piatti già fatti da scegliere al momento: gli fai vedere ciò che vuoi e il cuoco inizia a cucinare. Spiedini, riso, gelatine di non so cosa con dentro non so che, insalate di frutta, pesce, spaghetti in brodo o asciutti. Il sapore dei cibi è piuttosto indefinito. La fame è tanta. Peperoncino ovunque...
Il treno per Luoyang è dopo le 22.30. La stazione di Pechino vista da fuori sembra un Grand Hotel, dentro però è alquanto modesta. La gente si accalca disordinatamente ai cancelli di accesso alle banchine dei treni, anche se manca più di un’ora alla partenza. Molti mangiano chow mien liofilizzati seduti sui propri sacchi bagaglio, altri dormono stesi su giornali per terra. C’è un caos biblico e non c’è una scritta che sia una in caratteri occidentali. Ci fanno passare 15 minuti prima della partenza. Le carrozze hanno l’aria condizionata, non ci sono scompartimenti, o meglio, ci sono a 6 cuccette ma non hanno porte. Tutto è molto pulito, c’è il bollitore
A Luoyang arriviamo al mattino e andiamo subito alle cave di Longmen, delle falesie a picco sulla sponda del fiume sulle cui pareti sono state scavate delle nicchie in cui sono state scolpite migliaia di statue di Buddha. Il fiume ha un’acqua putrida e l’umidità è insopportabile...anche qui c’è nebbia...la nostra passeggiata è piuttosto lunga, ma davvero ne vale la pena, vi sono anche molti pellegrini che vengono a pregare i vari Buddha e a fare offerte davanti agli altari. A circa 30 chilometri da Longmen visitiamo il sito della White Horse Pagoda, un monastero buddhista molto tranquillo che mi ricorda le oasi sacre in Thailandia. Ci sono un bel po’ di monaci con le tonache gialle che spargono incensi e preghiere al vento. La pagoda mi ricorda uno Shiva Lingam...dove sono? Caldo...caldissimo...
Il monastero Shaolin sulle colline poco distanti, proprio quello dei monaci che son venuti in tour anche a Milano, invece è un bel college american style, dove si insegna a migliaia di ragazzini a meditare con le arti marziali. Un luogo che ai turisti sembra molto un parco giochi per gli spettacoli dimostrativi che fanno fare agli studenti...ma non è altro che una scuola...c’è troppa gente.
La sera, prima di partire, il nostro driver ci porta in un tipico ristorante dove fanno la famosa cena acquatica...24 portate incomprensibili in BRODO mi mettono a dura prova.
Il treno notturno ci porta a Xian. La città è bella, molto diversa da Beijing anche se anch’essa enorme.
Quando torniamo in città, ci fermiamo al mercato islamico. Il pomeriggio sta finendo e qui c’è una frenesia tipica dell’oriente, ho qualche flash su tamel...la mia tamel...La gente è sorridente, cortese. Facciamo un giretto in moschea...pace totale...e poi andiamo a far visita a qualche retrobotteg
Il giorno dopo non ce la faccio...sono una donna morta. Riesco a salire in cima alla Pagoda della Piccola Oca e a fare un giretto a quella della Grande Oca, poi dormo sul pulmino fino all’ora di pranzo. Il pomeriggio mi sfugge. Faccio una cinquantina di foto alla gente...gli aquiloni cinesi, i grilli in gabbia appesi e gli uccellini con i vecchini...mi mangio una ciotola di chow mien in strada...Xian è da vedere. E’ m
Un altro treno notturno ci porta a Tian Shui. Sta volta niente cuccette...stiamo sui posti a sedere più o meno ammassati...per fortuna son sono tantissime ore. Arriviamo lì alle 3 dei mattino giusto in tempo per una dormitina prima del viaggio verso Maijishan. Al mattino Tian Shui è animata da un mercato lungo le sue vie principali e il traffico è tutto bloccato.
Maijishan è una località collinare dove sulle pareti a picco di una montagna sono state scavate delle grotte e sono stati scolpiti dei Buddha giganti alcuni dei quali hanno ancora un po’ del loro colore originale. Per vederli ci si deve inerpicare su una scala appesa alla montagna...insomma una bella passeggiata con un bel panorama a prova di che soffre di vertigini.
Ci spostiamo verso il Qingai, regione da c
Anche qui non ci si capisce...non c’è verso. Per telefonare all’estero è un delirio. Mi sono fatta scrivere in cinese: DOVE POSSO FARE CHIAMATE INTERNAZIONALI? E vado in giro facendolo vedere a chiunque come una sordomuta. Hard!
La mattina viaggiamo verso Xinjing. Da lì visitiamo Taer, dove dicono sia nato Tzong Khapa. Qui ci sono molti pellegrini tibetani e il monastero Buddhista è davvero suggestivo. Un angolo di misticismo e pace. Rivedo i monaci al ripasso pomeridiano degli studi e mi godo una bella Puja. Sto un po’ a guardare una statua di Avalokyteswara e penso a Raj...non siamo molto lontani...ci separa l’Himalaya. Fa freddo e piove, chi l’avrebbe mai detto. Non riesco a fare il kora, il tempo è davvero inclemente ed è un vero peccato.
Il mattino seguen
Diamo un’occhiata alle vecchie macine per il grano e alle zattere fatte con le pelli di maiale gonfiate come galleggianti...decisamente inquietanti. La sera cerco un internet point che mi hanno detto essere in prossimità della piazza della stazione...al 4 piano di un palazzo anonimo, in un openspace che mi ricorda il mio ufficio, ci sono file concentriche di postazioni PC tutte occupate da ragazzi intenti a giocare a videogame ammazza-spara...alienante...per fortuna la connessione è buona e, a parte qualche problema con la tastiera che digita testo auto tradotto in ideogrammi, riesco a comunicare con l’occidente. Il problema grosso è comunicare...io ho bisogno di fare pipì e un cessua (WC in cinese) non si trova neanche nei ristoranti! Mi riduco a chiedere aiuto alla polizia...ma questi mi guardano alienati pure loro...o la faccio in piazza o me la devo tenere!
La fortezza di Jiayuguan è davvero un gioiello nel deserto...poi con le montagne innevate all’orizzonte dietro i bastioni ti lascia davvero a bocca aperta. Il silenzio è unico e l’aria è gelida nonostante il sole al mattino sia già caldo. Camminiamo sulle mura di cinta e vediamo qualche carovana di cammelli che appare e scompare nel deserto. Da qui ci spostiamo verso la Great Wall. Qui vicino c’è una parte di muraglia pressoché intatta e vederla in mezzo al deserto su queste aride colline è meraviglioso. Il resto della giornata è di viaggio alla volta di Dunhuang l’oasi nel deserto. Qui è splendido, percorriamo chilometri e chilometro di strada in mezzo al deserto ventoso. Arrivata in questa città vedo qualche turista perché Dunhuang é l’unico centro abitato che offre facilities nelle vicinanze delle Cave di Mogao, sito che è patrimonio dell’unesco, visitato da decine di migliaia di persone. Appena fuori dalla città ci sono delle belle dune di sabbia rossastra alla cui base hanno allestito una macchina fabbrica soldi: TURISTS VIEW POINT. Gite sul cammello, in dune buggy, deltaplano a motore...il tutto con tanto di campo tendato notturno tipo serata berbera CINESE...qui ci perdiamo l’autista che sembra non aver nessuna voglia di tornare indietro a riprenderci...la cosa è buffa perché iniziando a chiedere aiuto in giro, ovviamente non ci capisce nessuno...allora si risfodera la tattica dei SORDOMUTI...foglio A4 con scritta a caratteri cubitali WHO SPEAK ENGLISH? che finalmente ci fa trovare una guida cinese di turisti giapponesi che parla un po’ di inglese e che gentilmente si offre di telefonare al nostro autista imploran
La sera a Dunhuang è movimentata. C’è una via di localini con i tavolini in mezzo alla strada che fa molto Brera cinese, dove si mangiano gustosi spiedini di montone con finalmente del Buon NAN. Si vede che ci stiamo avvicinando alla zona islamica.
Mogao è splendida. Le cave sono visitabili solo con guida e sono tutte chiuse a chiave. VIETATO ENTRARE CON MACCHINE FOTOGRAFICHE E VIDEOCAMERE. PORTARSI LA PILA. Sono uno splendore, noi visitiamo il sito per circa 2 ore con una guida cinese parlante francese con accento mandarino...un bijoux! I Buddha hanno ancora i loro colori originali e all’interno delle cave più grandi mi sembra di stare nella Cappella Sistina dell’Asia. Nel museo cerco invano un libro di buona fattura con foto e descrizioni almeno in inglese, ma non trovo nulla di decente. Che peccato, questo è sicuramente il sito più bello che ho visto in Cina dopo l’Esercito di Terracotta.
La stazione di Dunhuang, appena fuori città, è un Grand Hotel di design moderno, con divani di pelle bianca e marmi bianchi ovunque. Qui incontriamo un tipo pieno di valigie con dentro valigette più piccole piene di cristalli di rocca che ci fa vedere tutta la sua collezione... Il treno notturno ci porterà a Turfan.
Turfan è sicuramente uno dei luoghi più inospitali della terra. A più di 140 metri sotto il livello del mare è una delle depressioni più profonde al mondo. Il clima qui è insostenibile e le temperature che sopportiamo sono sicuramente le più alte di tutto il viaggio. Turfan è famosa per la sua uva dolcissima e per il fatto che i pergolati di viti danno un po’ di sollievo con la loro ombra agli abitanti di questo forno naturale. Qui ci sono ancora i famosi Karez e esistono ancora operai artigiani che li costruiscono a mano scavando sottoterra. I Karez sono dei pozzi di irrigazione e raccolta dell’acqua che vengono scavati e costruiti a mano nel sottosuolo da temerari operai che rischiano di venir sotterrati vivi durante il loro lavoro. E’ un sistema antichissimo che si tramanda di generazione in generazione e che a quanto pare funziona ancora.
La mia camera da letto ha tre vetri per proteggere l’interno dal caldo...dicono che qui in inverno ci siano -30°C per via delle correnti che arrivano dalla Siberia, quindi un’escursione termica di 80 gradi durante un anno. Sarà vero? Impressionante.
Le rovine di Jiaohe sono erose nel deserto. Aiuto, il caldo è talmente insopportabile che non riesco a godermi nulla. Turfan, antica tappa della Via della Seta, Turfan e l’uva del deserto del Taklamakan.
Il furgone ci porta via il giorno dopo, ci vogliono un bel po’ di ore per giungere a Urumqi dove ci attende il nostro volo per Kashgar. Il deserto è un po’ sassoso, un po’ sabbioso, l’aria è rovente e gli scenari lunari. Per fortuna sta volta abbiamo l’aria condizionata. Quando manca il sole invece la temperatura cala drasticamente e il vento è fortissimo. Mi fermo ai bordi della strada a guardare lo sconfinato niente e il vento mi porta via. Spesso incrociamo vasti stabilimenti di sfruttamento dell’energia eolica. ENERGIA PULITA in Cina. Bravi, w lo Xinjiang!
Urumqi è tutto ciò che uno non si aspetta di vedere conoscendo quella che è stata la sua mitica storia. Ne è rimasto solo il nome.
Mi ristoro in un centro commerciale di 12 piani, fuori fa davvero caldo. Finiamo la giornata nell’unico museo degno di nota. In serata siamo in aeroporto e voliamo verso Kashgar, la perla dello Xinjiang.
Finalmente inizia la parte di viaggio che aspettavo di più. Sono in Asia Centrale! Qui mi renderò conto che questa parte di viaggio che credevo essere la più dura si rivelerà essere invece la più agevole.
Kashgar è ora nota alla cronaca per essere focolaio di integralismo islamico, negli ultimi giorni ci sono arrivate notizie di attentati...
Una delle tappe storiche della Via della Seta, Kashgar, nonostante lo sviluppo della Cina, conserva ancora il suo fascino di città senza tempo. La città vecchia è un turbinio di viuzzze sterrate acciottolate attorno alla vecchia moschea dove i bimbi corrono facendo rotolare le vecchie camere d’aria con i bastoncini e le donne chiacchierano sugli usci come una volta. Qualcuno mi invita a bere un tea. Le case sono molto semplici, essenziali e accoglienti. Il colore che domina è il beije. Si sta bene, non fa così caldo come qualcuno mi voleva far credere. A Kashgar si sta bene. Qui giungevano le carovane dei mercanti da tutta l’Asia Centrale e da ogni dove per il Gran Bazar e per il mercato della Domenica.
Il mercato domenicale è un tuffo nel passato, per me sembra incredibile riuscire a far parte di questa scena che si ripete, presumo immutata, da secoli. Le vie di accesso al mercato sono trafficate da carretti trainati da brocchi o da asinelli, furgoni stipati di bestiame, bici, motorette...all’ingresso c’è una sorta di dogana con un po’ di personale in divisa...ovviamente controllano quanto entra, quanto esce
Il Bazar è un gran mercato coperto non turistico con tutto ciò che deve avere un mercato: dal cibo, alle spezie, dalle stoffe alle pentole. Tutte cose utili alla gente. Di souvenir ce ne sono pochi. Anche qui ci sono degli pseudo santoni. Fanno profezie con catini pieni di scorpioni vivi.
Il pomeriggio sono nella piazza della famigerata Moschea. Ci sono le giostrine con i bambini, le famigliole che passeggiano, qualche vecchino barbuto con gerle piene di pane. Mi copro il capo con la mia pashmina e entro. C’è una bimba sulla porta che si fa fotografare dal papà con l’enorme chiave in mano. Ha due occhi neri neri...bella. Dentro ci sono un po’ di fedeli che pregano e che ogni tanto mi sbirciano. Passeggio indisturbata fac
La Cina qui è lontana...a Kashgar hanno anche il loro fuso orario...2 ore indietro rispetto a Pechino! Mi sembra giusto. Qui la maggior parte della gente è Uygura, è diversa dai cinesi. Davvero diversa. Anche se non sanno l’inglese e parlano solo uyguro qui ci si capisce.
Ritorno in Cina solo in una piazza...c’è una statua di Mao enorme e una fila di bandiere rosse...ma la Cina la vedo solo qui.
Iniziamo il tragitto per il confine verso l’Irkeshtam pass. Il Torugart è chiuso per 2 bombe esplose dagli integralisti nell’ultima settimana. Lì dicono che tutti vogliono boicottare le Olimpiadi. Mah...sono perplessa. Partiamo prima dell’alba perché dobbiamo arrivare alla frontiera non oltre le 12.30, la strada è lunga e sterrata. Quando sorge il sole si vedono già i profili innevati della catena dello Tien Shan. E i colori di questi monti sono brillanti al sole. Fa freddino, finalmente siamo in montagna e io mi sento sempre più a mio agio, nonostante il furgone non sia molto comodo. Arriviamo in alto, in frontiera. Ripiombo in Cina. Facce scure. Aspettiamo. Ci impieghiamo due ore e mezza per passare la frontiera. Questi hanno allungato i tempi su ogni cosa, cavilli su cavilli. Cercavano il timbro sui passaporti, quando a Pechino lo hanno posto solo sul visto perché era collettivo e non ci hanno timbrato il passaporto neanche su richiesta come souvenir delle olimpiadi: U can buy the olimpic gifts at the shop on the corner...e adesso ci chiedono il timbro...Strani sti cinesi. Ovviamente qui all’Irkeshtam nessuno di loro parla inglese...e nessuno di loro capisce....nulla! Di nuovo! Controllano tutto. Neanche all’ingresso a Pechino ci hanno controllato così...suvvia, stiamo uscendo! Il nostro furgone non ci può accompagnare al confine kirghiso che sta circa 3 chilometri più in là, oltre questa zona morta...non possiamo neanche andarci a piedi perché dopo un po’ di cammino al primo posto di blocco i kirghisi ci fermano e ci fanno segno che così non possiamo sconfinare. Saliamo su un tir cinese. Il camionista è molto gentile, accetta l’imposizione delle guardie di frontiera e ci carica sul camion. Vedo il confine. Al di là ci attende un nuovo furgone che ci porterà a Sari Tash. Lo scenario montuoso è splendido.
Il passaggio kirghiso è fatto in un attimo. Il vecchio mercedes si inerpica lentamente sullo sterrato. Tra un picco, una vallata e un altipiano, scorgiamo le prime yurte e i pascoli si perdono a vista d’occhio fino alle pendici delle montagne. Nel tardo pomeriggio siamo a Sari Tash. Diciamo che questa giornata di viaggio è stata bella intensa ma il posto dove sono arrivata mi ripaga degnamente. Sono alle pendici del Pamir, in un altipiano a 3800 metri. Una meraviglia. Il villaggio è un paesotto di montagna con il centro con le casette in muratur
La mia yurta! Da dentro osservo il cappuccio che la copre in alto, l’intelaiatura a doppia croce è disegnata in giallo sulla bandiera rossa kirghisa, dicono che in inverno lasci entrare il caldo e protegga dal freddo...in inverno anche qui fa -30°C...Ceniamo con del buon plov e con del pane soffice soffice. La temperatura cala rapidamente. I ragazzi del campo mettono i cappotti ai cavalli e li fanno entrare nella tenda stalla. Nella yurta di fianco alla mia incontro dei ragazzi che stanno andando in Tagikistan e poco dopo arrivano una decina di motociclisti che stanno attraversando tutta l’Asia Centrale in raid. Che emozione dev’essere su queste str
La mattina all’alba nella yurta ci sono 8°C. Ho dormito anche bene, non pensavo. Quando esco c’è ancora la luna gialla in cielo e le montagne tutt’attorno mi lasciano senza fiato. Non c’è niente, solo qualche pascolo e il Pamir bianco e rosato che brilla al primo sole. Durante la notte la temperatura dev’essere andata sotto zero perché i fili d’erba sono ancora ghiacciati. Dopo una colazione a base di pane burro e marmellata fatta in casa, saliamo sul furgone alla volta di Osh. I nostri pakistani chiacc
In serata ci ristoriamo in una bella guest house.
Osh è una città in mezzo al niente. Pare piuttosto ordinata e in centro ha un colle che sembra una donna incinta sdraiata. Qui ci vengono in pellegrinaggio molte donne e molte coppiette in cerca di bambini...non c’è molto in questa città però il Bazar è carino, molti banchi vendono i tipici cappelli di feltro bianchi e neri con la tesa arrotolata e i ricami in fronte e gli alimentari hanno tavolate intere coperte di frutta secca. Le donne sono sorridenti e gioviali. Sono belle. Alcune scure scure altre biondissime con gli occhi chiari. Tutti vogliono le foto: donne, uomini, bambini. Con l’aiuto della nostra guida pakistana troviamo il mercato dell’oro e dei gioielli. E’ in un posto singolare, un grosso capannone all’aperto, le donne in piccoli gruppi sedute a semicerchio, chi con la valigetta aperta, chi con la borsetta, tutte con una sfilza di gioie tra le mani: le mostrano alle possibili acquirenti, così...in modo naif... non avevo mai visto maneggiare oro e preziosi così...in mezzo alla strada con tanta disinvoltura.
Il giorno dopo ci dirigiamo verso la frontiera uzbeka. Qui le guardie di frontiera ci sembrano alquanto easy. I bagagli praticamente non li guardano, si impegnano molto invece nell’accoglienza. Non appena capiscono che siamo italiani mettono in ster
Incrociamo anche una rissa in autostrada con tanto di pestaggio sanguinolento e donne che tirano scappellotti sul coppino dei litiganti... traffico ovviamente bloccato! Il bello
A Margilan vado da Yodgorlik. Forse ormai sarà solo una nota fabbrica di seta dove i turisti vanno a fare shopping, ma per me è un passaggio obbligato perché ha in se tutta la storia della lavorazione della seta e dell’allevamento dei bachi. Questa attività è stata da sempre una delle più tradizionali dell’Uzbekistan. Yodgorlik è uno dei più antichi centri di produzione della seta di tutta l’Asia Centrale. Qui tessono ancora a mano o con gli enormi telaioni in legno, certo hanno anche rumorose macchine per la tessitura che mi hanno ricordato i documentari che vedevo da bambina sullo sviluppo industriale in Italia nel dopoguerra, ma il bello sono le lavorazioni a mano e stare all’ombra dei gelsi a guardare.
Decidiamo di passare anche da Rishtan a vedere lo studio del maestro Rustam Usmanov, forse il più grande tra ceramisti tradizionali Uzbeki che ha raccolto nella sua arte tutta la tradizione dei secoli passati. La sua casa è un piccolo museo. Ci sono alcuni pezzi di ceramica blu antichissimi. Questa è cultura che si tramanda di generazione in generazione.
La Valle di Fergana è la culla delle arti dell’Asia Centrale. Già lo era in epoca timuride e da allora a oggi non ha perso il suo fascino.
Per andare a Samarcanda allunghiamo passando da Tashkent e man mano che si scende sentiamo che presto staremo di nuovo al caldo. Tashkent in questo viaggio per me non è degna di nota. Passo il tempo rileggendo la storia di Samarcanda e delle sue meraviglie.
Ben presto lasciamo le montagne e le valli per le pianure. Ci sono moltissime piantagioni di cotone. L’Uzbekistan è uno dei primi produttori al mondo. Arriviamo a Samarcanda alle 10 di sera con una fame indescrivibile e vediamo scorrere via la piazza del Registan illuminata senza neanche il tempo di renderci conto di dove siamo. In una stradina illuminata da qualche lucina ci aprono il portone di una casa padronale. Il chiostro interno è bellissimo e il patio arioso. Saliamo le scale e una tavola imbandita ci aspetta. Cena casalinga! Melanzane Immam Baildi anche qui? Più o meno...una caponatina...i famosi noccioli di albicocca...i tortellini in brodo...l’immancabile plov, i pomodo
La mattina siamo al mausoleo di Gur Emir. Io sono a bocca aperta. E’ bellissimo. Le piastrelle blu decorate e i mosaici sono ben conservati. Nonostante Samarcanda abbia subito grossi terremoti i restauratori hanno fatto un ottimo lavoro. All’interno c’è la tomba di Tamerlano in marmo nero e a lato quella di Ulugbek in marmo bianco. Il nipote di Tamerlano gli successe sul trono di Samarcanda e, contravvenendo alla volontà dello zio che voleva essere sepolto a Shakhrisabz, decise di accogliere le sue spoglie in questo mausoleo. Vi sono molti pellegrini che vengono a pregare in questo luogo sacro che è denso di fascino.
A piedi ci dirigiamo verso la piazza del Ragistan, il gioiello di Samarcanda. Quando arrivo lì provo lo stesso stupore della mia prima visita a San Marco a Venezia da bambina. Sono davvero emozionata. Le tre madrase sono magnificenti. Tillya-Kari (del 1646/1660 per 75 metri di altezza), Shir Dor (del 1619/1636 per 51 metri di altezza) che porta sulla facciata le 2 tigri col sole, rare iconografie sacre islamiche (l’islam vieta la rappresentazione zoomor
Poco lontano dalla mosche mi concedo degli spiedini di carne macinata cotti alla brace e dal pergolato mi godo il via vai del bazar che scorre sulla via di sotto.
La prossima meta è l’osservatorio astronomico di Ulugbek che sta sulle colline sopra Afrosiab. Visitiamo i resti del grande astrolabio per l’osservazione della posizione delle stelle
Poco prima del tramonto arriviamo alla necropoli di Shakh-i-Zinda. Nel XIV e XV secolo vi furono costruiti monumenti funebri che non hanno uguali in tutta l’Asia Centrale facendo della necropoli un luogo stupefacente in una città per se stessa già superlativa.
La sera provo a godermi le ultime luci sul Registan...la vista è surreale...non ho parole.
La mattina dopo siamo sulla via per Shakhrisabz, luogo natale di Tamerlano, dove si ergono ancora le rovine del suo antico palazzo. Questa cittadina è meta di un costante pellegrinaggio da parte delle coppie di sposi che durante il giorno del loro matrimonio fanno tappa fissa qui per fare la passeggiata di rito con foto annesse intorno alla statua del grande Amir Timur. La gen
Più ci avviciniamo a Bukhara più la terra diventa arida...chissà a Khiva...stiamo viaggiando senza aria condizionata da quando siamo entrati in Uzbekistan e il caldo è tanto. Per fortuna non essendoci umidità si sopporta molto meglio di quello che credevo. Intanto mi giunge notizia di un terremoto scampato in quel di Tashkent...
Bukhara fondata nel I secolo d.c.: la città dei canali, la città delle vasche, la ci
Qui mi accolgono davvero a braccia aperte. L’oste dell’alberghetto in cui dormo è un burlone e ironizza sul fatto che spesso gli islamici uzbeki sono detti integralisti, io gli faccio notare che gli uzbeki sono islamici come gli italiano sono cattolici...all’acqua di rose... A proposito di questa cosa, in una viuzza scorgo un cartellone pubblicitario di un blog che si chiama badman, che scoprirò poi essere di un bravissimo fotografo. La foto del poster è una libera interpretazione dell’ultima cena di Leonardo, dove tutti i partecipanti sono persone di diversa etnia mediorientale/asiatica a parte uno, Giuda, che è un occidentale in camicia e giacca. In Italia scoprirò poi essere il fotografo stesso...Un brillante!
Sono nel centro storico a due passi dai mercati coperti, finalmente mi rilasso nel Lyab-i-Hauz. La piazzetta con la vasca d’acqua è un angolo di paradiso. A est e a ovest ci sono le vecchie madrase, la Nadir Divanbegi khanaqah con le splendide fenici sul portale che in ogni celletta, che un tempo ospitavano gli studenti, ha un negozietto che vende suzani, o tappeti o borsette o stole di seta. Nel giardinetto a est c’è la statua dell’Uzbeko errante in groppa all’asinello e tutt’at
Proseguendo verso ovest si apre il Taqi-Sarrafon, il primo dei tre bazar coperti (gli altri sono il Taqi-Telpak Furushon e il Taqi-Zargaron). Sono divisi in settori, c’è quello dei cappellai, quello dei tappetai fino ad arrivare al mercato dei mobili e a quello dei gioielli. Visito due vecchi caravanserragli adibiti a pseudo centri commer
Per visitare la città partiamo da fuori le mura con il mausoleo Samanidi che ha muri di mattoni di terracotta spessi 2 metri e con il Chasma Ayub, particolare mausoleo costruito sopra ad una fonte di acqua miracolosa... Da lì, dopo aver visitato la Moschea, ci dirigiamo verso l’ark, l’antica cittadella circondata dalle maestose mura di cinta. Fa uno strano effetto vedere lo stradone che circonda la città
Ci dirigiamo al mercato dell’oro e dei mobili. Ci sono stand uno dietro l’altro, una grande fiera aperta tutto l’anno. Subito dopo, sulla destra ci si
L’ultima meraviglia che mi riserva Bukhara è il Chor Minar. Questo piccolo edificio, unico al mondo, ha quattro minareti con le cupole blu che simboleggiano le 4 figlie dell’emiro che lo fece costruire. Qui il tempo si è dilatato e vivo questo luogo sentendomi davvero parte di esso.
Lascio Bukhara con un po’ di malinconia. Ormai siamo in pieno deserto. Sempre caldissimo e sempre ventoso, il clima è surreale. Giungiamo a Khiva nel
Anche a Khiva c’è tutto un susseguirsi di negozietti e banchetti con artigianato e mercanzie di ogni genere e vi sono molti posticini dove ci si può sedere tranquilli a bere un tea e a chiacchierare con qualcuno, soprattutto sul volgere del tramonto, quando ormai tutti i turisti se ne sono andati.
Il tramonto dall'alto del bastione Oq Shihbobo, la torre più alta di Khiva che si trova all'interno dell'Ark, è una cosa da non perdere. Avrete davanti ai vostri occhi uno splendido panorama di minareti colorati e cupole blu-azzurre mentre le poderose mura di argilla che cingono la città si illumineranno del colore rosso del sole. Uno spettacolo!
Di sera non c’è più nessuno e girare per Khiva con la pila accesa è come girare in un presepio vero: i principali monumenti sono bene illuminati e creano un'atmosfera fiabesca. Ci si perde nella notte dei tempi...
Non ci credo ma il mio viaggio sta finendo. Tra due giorni sarò sull’aereo per Istanbul...
Da Khiva andiamo verso Urgench costeggiando il confine Turkmeno. Sempre caldo, sempre vento, sempre paesaggi sconfinati che all’orizzonte si perdono in miraggi di laghi cristallini inesistenti. Che posto! L’aeroporto di Urgench è piccino ma carino. Qui alle 21.00 dobbiamo prendere l’aereo per Tashkent. Quando il pullmino mi fa scendere davanti al velivolo, la scritta che leggo sul suo muso “TU” non mi piace moltissimo. Si dice che nella vita c’è sempre una prima volta...si dice. Questa è stata la mia prima volta su un Tupulev delle linee aeree Uzbeke, una prima volta capitata proprio a tre giorni dalla caduta di un Tupulev delle linee aeree Kirghize...mi son detta che essendone appena caduto uno, le probabilità che ne cadesse un altro forse sarebbero state remote. L’aereo è effettivamente vecchiotto. Nell’intercapedine del finestrino è ricoverato un quantitativo indefinito di spazzatura e i sedili sono ribaltabili. I portabagagli come quelli dei treni...Va bé siamo arrivati a Tashkent e il vecchio Tupulev ha fatto il suo buon dovere, nonostante tutti i miei dubbi. Ora qui non mi resta altro che aspettare il volo delle 3 per Istanbul da cui poi ripartirò per Milano dove avrò molto da riflettere prima di ricominciare a vivere la mia solita vita di sempre...