mercoledì, marzo 20, 2013

upper mustang: the land of wind whispering


Un tempo regno indipendente, terra sull'antica rotta commerciale tra Tibet e le pianure del sud del subcontinente indiano, terra di buddhismo della scuola Sakyapa, nascondiglio degli antichi guerrieri Khampa e luogo mistico che è stato frequentato da saggi quali Milarepa, è aperto al turismo solo dal 1992. Con le sue valli verdi tra le aride montagne ocra e rosse è popolato da genti tibetane e la sua storia si fonde con le leggende dell'Himalaya.
Per arrivarci occorre raggiungere Pokhara (6 ore di minibus o 8 di bus pubblico da Kathmandu oppure molto più velocemente in volo sempre da Kathmandu) e da qui in jeep o in volo a Jomsom, il punto di inizio da cui incominciare la visita di questa incantata regione Himalayana che si trova raccolta e protetta dai massicci dell'Annapurna.
Io ho visitato la regione e, karma permettendo, vi racconterò pian piano qui sotto com'è il Regno di Lo.
Venite con me?

PARTENZA
20 aprile 2012, venerdì. Alle 22.20 il mio volo per Delhi decolla puntualissimo da Malpensa. Ho sentito più o meno tutti coloro che dovevo, anche chi, alla fine, non mi aspettavo che avrei sentito, e gli sono grata per essersi fatto vivo.
Parto con una sensazione strana, di incertezza, mista al “cacchio, so che mi dovrò arrangiare in un sacco di cose, so che non potrò dare nulla per scontato”. Io so. Io so sempre, anche se sembra impossibile. Ho tirato matto il Brahma perché so che colui che sarà con me non è “pronto”.
Il nomignolo che mi han dato in Nepal, Boxhi, non mi è stato dato a caso. Sì, sono un po’ una strega, buona però. Ci azzecco sempre.
A Delhi arrivo puntualissima alle 9.30 del mattino e mi piazzo a dormire subito su un comodo divano.
Il volo per Kathmandu parte alle 12.45 puntuale e il cielo è totalmente coperto da nubi, tanto che non si vede una cima manco a pagarla. All’arrivo faccio il visa in meno di un quarto d’ora, mai successo, e recupero il bagaglio in una mezzora. Fuori c’è Amrit seduto che mi aspetta. E’ venuto con il pulmino di Raju. Mi accolgono con una collana di petali di rose del giardino del Planet fatta dai ragazzi. Io li amo tantissimo, per me sono i miei ragazzi anche se qualcuno magari poi mi tira le orecchie se dico così. L’amore è universale. E nella vita non c’è nessuno che ci appartenga, ma molti che amiamo. Io li amo. La temperatura è calda, ma gradevole come sempre. L’aria è fresca. Mentre mangio il mio toast coi pomodori e il formaggio di yak, mi sento a casa. Mero Ghar Nepalma (la mia casa in Nepal). Dal terrazzone vedo il Nyatapola e tutti campi verdi fino al colle di Changu Narayan. Martin mi ha preso la sim nuova della Ncell. Quella vecchia non funziona più. Mi faccio due risate con Amrit e Martin e conosco il nonno di Yam e Amrit. Ha l’età di mio papà ed ha un volto così espressivo. Mi piace un sacco. Ogni sua ruga è una storia che si perde negli anni. E’ bellissimo.
Il terrazzone ha la pavimentazione nuova, e la piramide energetica però non c’è più. Chiacchiero coi ragazzi e poi mi infilo in camera a preparare il saccone per domattina. Verso le 18.00 si apre la porta: “Ma come? lasci la porta aperta così?”  Mi corre incontro e mi abbraccia stretta stretta, facendomi fare il giro come si fa coi bimbi. E’ assurdo, ma nel cuore ho pace totale. Il nervoso ce l’ho solo a casa, come in questo momento, mentre scrivo.
La sera ceno a tagliatelle al ragù e melanzane alla parmigiana. Oramai non devo più chiedere nulla. Sanno già tutto. Prima di andare a nanna incontro Ammar, che mi porta il permit, il TIMS e l’ACAP, i biglietti aerei per/da Jomsom e il piccolo Pasang che verrà con me in Mustang. E’ proprio un ragazzino. La strega aveva ragione.
VERSO POKHARA
La sveglia suona alle 6.00. devo andare a Kathmandu per prendere il Bus GreenLine a Thridevi Marg http://www.greenline.com.np/rates.php L’autobus ci impiegherà 7 ore.
La GreenLine, almeno sta volta, ci ha lasciati al caldo soffocante senza aria condizionata fino a dopo la sosta pranzo, però ha fornito un litro d’acqua in bottiglia per ogni passeggero. Ci siamo fermati a metà mattina per una pipì stop in un posto ombreggiato e poi ci siam fermati per pranzo in un bel ristorante, con le portate a buffet (bevande escluse, a parte il tea e il coffee dai boiler). Dopo, sul bus, hanno acceso l’AC, non forte, quindi un fresco piacevole, fino a Pokhara.
In città c’è un vento fortissimo che alza tutta la terra e la polvere, le montagne non si vedono. Pasang non ricorda il nome dell’hotel, andiamo bene, io per fortuna ce l’ho bene in mente, così lo dico al tassista che ci porta al Lake Star. Vado in stanza e Pasang giustamente va a trovare gli amici suoi e mi dice che ci troviamo dopo cena.
Piove, il cielo è nerissimo e vedo volare alcune lamiere per aria. Quando smette vado a farmi un giretto sul lungo lago. Fa stranamente freddo e delle montagne ancora manco l’ombra. Pokhara senza monti non mi piace proprio. Il suo bello è il panorama e senza è davvero un’anonima cittadina caotica e turistica.
A cena vado da Viva Pasta perché leggo che hanno il pollo grigliato con le verdure lessate e ho bisogno di cibo leggero. Mi faccio due risate con la proprietaria e il cameriere. Sono simpatici e mi faccio una video chiamata su skype. Qui il wifi c’è quasi ovunque.
Quando torno, Pasang non c’è, allora lo chiamo al cellulare e lui arriva. Lui concorda la colazione al sacco con quelli dell’hotel, così dice, e mi prega, di essere pronta per le 6.45 perché dobbiamo essere in aeroporto non oltre le 7.00. A Jomson bisogna volare al mattino presto. Dopo è pericoloso per via dei venti e delle correnti fortissime che si vengono a creare in cielo.
1 GIORNO: JOMSOM - KAGBENI
Il mattino dopo, Pasang arriva dopo le 7.00. Ho dovuto chiamarlo io al telefono, altrimenti chissà a che ora sarebbe arrivato e nessuno ha preparato la colazione. Non amo molto la scarsa puntualità quando viaggio da sola. I camerieri mi mettono della frutta in un sacchetto e prendiamo di corsa un taxi per l’aeroporto.
Le formalità per fortuna sono veloci e partiamo. Il volo su Jomsom dura 20 minuti ed è molto bello. Mi siedo sulla sinistra dove ho il panorama sull’icefall del Dhaulagiri. E’ uno spettacolo. A destra vedo invece quello dell’Annapurna che però al mattino è controsole. Volare in mezzo a due 8.000 è davvero emozionante. Durante l’avvicinamento a Jomsom, oltre le colline di Marpha, il piccolo twin otter accarezza i monti con le ali e poi atterra sulla piccola pista del villaggio.
http://www.youtube.com/watch?v=kveXnCHn6H0
http://www.youtube.com/watch?v=-8JnajHu2Vc
Uscita dall’Aeroporto, registro l’ACAP e iniziamo subito a camminare alla volta di Kagbeni.
Amrit mi chiama e mi chiama anche Yam per sentire se va tutto bene, ma appena metto piede sul greto del fiume il campo sparisce. Il primo tratto di trekking all’inizio è sul greto del Kali Gandaki. Se mi giro vedo parte del Dhaulagiri con la punta coperta dalle nubi.  E’ impressionante poi il sentiero si sposta sulla strada sterrata che costeggia la montagna perlopiù in piano con lievi salite.
Arrivo a Kagbeni in meno di tre ore e mi sistemo nella guest house. Sono felice perché ho il bagno in camera con l’acqua calda e la corrente elettrica. Non pensavo, davvero non me lo aspettavo proprio. L’hotel Shangri-La è carinissimo. Pieno di fiori e un sacco accogliente.
Dopo aver preso un buon tea, andiamo a fare due passi. Il villaggio è tipicamente tibetano, con le case bianche e le finestre decorate col bordo nero. Sul tetto di ogni casa ci sono cataste di legna e le bandiere di preghiera, che servono a proteggere la casa. Ci sono molti bimbetti che giocano tra uno stupa e un altro e le donne che filano la lana sugli usci delle case.
Io mi avvio verso il monastero, dove due monaci mi aprono e mi fanno visitare il Gompa. E’ ristrutturato e ha degli affreschi molto carini e soprattutto delle bellissime maschere cerimoniali che vengono usate durante i festival per le danze.
Dal tetto del Gompa si gode di uno stupendo panorama, da un lato sul Nirghiri North, la montagna blu, coi suoi 7061metri di altitudine e dall’altro sulla valle del Kali Gandaki, con le sue sabbie argentate e le montagne con le erosioni a colonnati che sono solo un assaggio di quello che vedrò in Upper Mustang. Quando scendo, decidiamo di andare a passeggiare dall’altro lato del fiume. Scendiamo al tempio indù, che sta sulla riva del fiume, e attraversiamo il ponte sospeso tibetano. Il vento si sta alzando ed è più forte di quanto mi aspettassi. Ci lasciamo il Nilghiri alle spalle e prendiamo il sentierino in piano che porta a un piccolo villaggio a poco meno di un’ora di cammino. Il paesaggio è bellissimo http://www.youtube.com/watch?v=woUkAWLVM4k
Quando arriviamo, il vento è diventato troppo forte. Qualche sasso rotola giù dalla montagna e io mi sento piccola piccola in balia della forza della natura. Torniamo indietro, tanto domani e nei giorni seguenti, avremo modo di camminare per ore e ore.
Andiamo al Check Post a registrare il trekking permit per l’Upper Mustang e l’ACAP. Al Check Post, che sta alla fine del paese, subito dopo il muromani con le ruote di preghiera c’è un piccolo museo con un sacco di foto, poster, descrizioni e studi sull’ambiente del Mustang, la flora, la fauna, i venti, le popolazioni, il numero dei visitatori. Qui finalmente scopro che la distanza del tragitto più breve tra Jomsom e Lo Manthang è di 84 km. Sicché senza fare deviazioni il trekking è 168 km. Se conto che andrò a Chhosar, che tornerò da Ghar Gompa e poi andrò a Muktinath, alla fine i km totali che percorrerò saranno circa 200.
Con questa nuova consapevolezza rientro alla guest house e attendo la cena chiacchierando con il primo gruppo di trekkers che incontro. Un papà e i suoi tre figli, australiani, che fanno di tutto per cercare di parlare italiano. Sono buffissimi. Sono arrivati dal Thorong La dopo aver percorso il Circolo dell’Annapurna e sono entusiasti.
Mi mangio una bella zuppa di noodles con le verdure e sto a chiacchierare fino alle 21.30.
Quando fai trekking non riesci ad andare a letto più tardi. Vuoi che fa freddo, vuoi che ti devi alzare presto, vuoi che in Nepal la gente va a coricarsi alle 21.00, alla fine vai a dormire pure tu.
GIORNO 2: KAGBENI – CHELE
In Mustang e in genere nell’Himalaya Buddhista al mattino presto usano ardere il ginepro come offerta e preghiera. Al mattino mi sveglio alle 6.40 con il profumo di ginepro nell’aria misto a quello di legna bruciata. La colazione è alle 7.00 e quando esco l’aria è bella frizzante.
La tratta Kagbeni-Chele è di circa 5 ore di cammino.
Subito fuori Kagbeni c’è un bivio. Una strada scende verso sinistra sul greto del fiume e prosegue sul fiume in secca, l’altra, la principale, e si vede che lo è perché è battuta, prosegue sulla destra in salita su per la montagna. Io mi dirigo verso la strada principale ma Pasang vuole prendere la secondaria, peccato che dopo un’ora di cammino e dopo aver scavalcato una frana, ci troviamo davanti al fiume in un punto dove non è attraversabile. Quindi dobbiamo tornare indietro a Kagbeni e riprendere la strada principale facendoci alla fine un’ora e mezza di cammino in più.
Da Kagbeni la strada sale subito sulla montagna. Ci sono piccoli saliscendi sotto calanchi e colonnati di roccia meravigliosi. http://www.youtube.com/watch?v=nk9H6UCFatI  C’è un sentiero a zig zag sulla montagna che, girandoci attorno, porta in cima a una parete rocciosa che, dal punto in cui siamo, appare verticale e liscia. Ci sono piccoli tornanti che curvano seguendo il profilo della montagna, ma con una pendenza comoda per non perdere fiato e abituarsi alla salita. Pasang prende scorciatoie che ripide scavalcano i tornanti risalendo la montagna per poi ridiscendere, io me le evito perché inutili, tanto ci si impiega lo stesso tempo. L’ultima scorciatoia di Pasang, passa sotto dei calanchi di sabbia e sassi che mi incuriosiscono. Lo seguo e i sassi iniziano a franare, prima i piccoli con la sabbia e poi i più grossi. Lo convinco che non è una strada sicura e cerco di spiegargli che in montagna non sempre è saggio prendere le cosiddette scorciatoie, anzi.
Ridiscendiamo sulla strada principale e lascio andare Pasang a passo spedito. Ho capito benissimo quanto il ragazzo sia inesperto e quanto io mi dovrò dar da fare per tenerlo d’occhio. E ora mi spiego tutte le mie inquietudini pre partenza. Per fortuna lui è simpaticissimo e quando camminiamo affiancati ci facciamo mille risate. Sono Boxhi, lo so. Sono in Nepal.
Oltre la parete verticale di cui scrivevo prima, sulla sommità della montagna, c’è la Apple Farm fatta costruire dai Giapponesi (non fateci affidamento per pasti o altro perché è spesso chiusa). Da qui il percorso ridiscende a Chhusang.
Qui i colonnati di roccia rossi sono bellissimi. Sosto in una guest house immersa nel verde per mangiare un piatto di verdure lessate col riso. Resto stupita sul metodo di cottura. Le verdure, vengono prima fritte e insaporite e poi vengono cotte in una zuppa e servite in una ciotola col riso bianco a parte. Sono molto buone fatte così.
Chhusang è un posto grazioso e tranquillo. Riprendo il percorso e la strada risale e scende dolcemente seguendo il corso del Kali Gandaki. In fondo si vede una splendida parete di roccia liscia rossa che si erge a sinistra del canyon del fiume, sulla cui sommità si vedono i tetti delle case di Chele
L’ultimo tratto di strada si divide in due. A sinistra la strada ha lavori in corso perché stanno risistemando il letto stradale proprio sotto i costoni di roccia, a destra, sul greto del fiume, si può camminare molto più agevolmente fino al arrivare al canyon strettissimo, attraverso il quale passa il fiume, a lato della parete di roccia rossa di Chele. Proprio qui in fondo, all’imboccatura del canyon, c’è un punto in cui il Kali Gandaki passa in una grotta. Questo punto si attraversa su due ponti di ferro sotto uno sperone di roccia rossa battuto dal vento. E’ uno spettacolo.
Chele sta sulla sommità di una roccia rossa e il sentierino che porta su al villaggio è ripido su una pietraia fino alla porta del paesino.
A Chele raggiungo la guest house dove ho la stanza sul tetto. Tutte le stanze sono sul tetto Ce n’è però una che ha anche saletta col tavolo. Il bagno è in comune al pian terreno. Mi metto in cucina accanto alla stufa e faccio conoscenza con Riccardo e Marco, due italiani, e con la loro Guida di Alta Montagna, Milan, con cui parlo un sacco. Lui è freelance e lavora nei trekking e nelle spedizioni da 17 anni. L’ambiente delle guest house è davvero speciale. Si sta tutti in cucina: Nepalesi e trekkers (tanto siam solo 3), si ride, si chiacchiera, si scherza. Pasang è ghiotto di Chang e ha sempre gran fame. E’ un piacere vederlo mangiare e bere con avidità. Lui sembra felice. Mi racconta di suo papà,ne va così orgoglioso e credo abbia ragione, visto che si è scalato 3 volte l’Everest e quasi tutti gli altri ottomila dal versante Nepalese e Tibetano. Dall’altra parte, a livello umano, Pasang prova molto risentimento. Il padre ha due famiglie. Una con la prima moglie da cui ha avuto alcuni figli e che ha poi abbandonato, e la famiglia di Pasang. La mamma se l’è circuita senza dirle del precedente matrimonio e ci ha fatto due figli, poi molto dopo è uscita la dura verità. In Nepal i rapporti uomo donna sono sempre complicati. Pasang mi racconta che lui è nato di venerdì e che in dialetto Sherpa il suo nome vuol dire “Venerdì”. A me sta cosa fa ridere tantissimo. Sono sola, in Himalaya, in compagnia di Venerdì…sono proprio il Robinson Crusoe del tetto del mondo.
GIORNO 3: CHELE – SYANGMOCHEN
Da Chele a Syangmochen sono circa 7 ore di cammino.
Questa è decisamente la giornata più impegnativa del trekking.
Al mattino Milan parte presto perché dice: “la strada è tanta”. Pasang mi dice di essere pronta alle 7.00, ma lui si presenta alle 7.30 e non mi ha fatto preparare la colazione, che vien pronta su mio sollecito alle 8.00. Partiamo alle 8.30. In Mustang sarebbe bene partire presto, non perché uno debba correre, ma perché alle 10.00/10.30 inizia un vento davvero forte. E camminare sotto il vento forte è uno sbattimento, sia per la fatica, sia per la pericolosità di crolli, frane e sassi vacanti che piovono dalle pareti di roccia e ghiaia.
Usciamo da Chele seguendo la strada principale che è in fase di sistemazione. Arriviamo a un punto dove c’è una fonte e dove c’è un sentiero secondario che Pasang prende. Io gli chiedo, visti i giorni precedenti, se è sicuro che la sua sia la strada giusta e non una scorciatoia, e lui mi dice che posso continuare sulla strada a destra e che ci vediamo su all’incrocio. Che faccio? Mi fido e vado. Pian piano però vedo che la strada non va nella direzione che mi aspetto, inoltre a occhio non intravedo nessun passo ne nessuna via che mi riporti nella direzione del sentiero preso da Pasang. Realizzo che la strada di Pasang va a circondare la montagna a sinistra e la mia a destra, quindi se si incroceranno da qualche parte non sarà a breve, ne prima di Samar. Non mi fido quindi più della via su cui sto procedendo, io so, che per essere giusta e cioè in direzione di Samar, devo essere sulla sinistra della montagna. Quindi scendo e ricerco il punto della strada principale dove sia segnato un sentiero pedonale secondario che sia in direzione giusta. Prima non avevo potuto vederlo, in questo punto le strade sono tornanti in curva che spariscono dietro le montagne, non riesci a vedere dove vanno, in che direzione, ne ovviamente ci sono indicazioni. Non c’è anima viva, un silenzio meraviglioso. Trovo un sentiero pedonale che sale verso l’alto e a sinistra e lo prendo. Poco più avanti mi accorgo che per terra c’è un sasso con una freccia blu. Dev’essere questo, quindi continuo e inizio a salire sicura per questa via che si arrampica pian piano su un costone di roccia spettacolare che ha alla sinistra una splendido e panoramico strapiombo.
Arrivo all’attacco della gradinata e ricordo le foto viste su internet di questo tratto di sentiero del trekking a gradoni incastonati nella roccia con lo strapiombo. Penso che è qui che dev’essersi sentito male il Re dei Salami (una mia conoscenza fatta in Italia quand’ero in compagnia del mio Brahmino). Ne sono certa http://www.youtube.com/watch?v=hXj2AzNvZHY Salgo e vado avanti.
Di Pasang neanche l’ombra. Il paesaggio è spettacolare, meraviglioso.
So, anche se non ci sono mai stata prima, che prima di Samar c’è un passo, e la cartina me lo conferma. Spero lui mi stia aspettando lì, come aveva detto. Procedo a passo spedito, sprecando molta energia perché cammino troppo veloce e inizio ad essere in alto. In Montagna devi camminare al ritmo del battito del tuo cuore. Mi accorgo che sono oltre, e ho anche il fiatone. Mi dico: MOLTO MALE! Ma non riesco ad andare più lentamente, non so quanta strada devo ancora percorrere per arrivare al passo ed è da molto che cammino da sola.
Arrivo e lui non c’è. E’ da più di due ore e mezza che cammino da sola. Non nego di avere un po’ di nervoso, anche perché in Mustang i cellulari non prendono. Vedo però di farmelo passare in fretta. Il nervoso non è certo una cosa costruttiva. Alla fine l’unica cosa che mi urta è che non ho il mio sacco a pelo e se non dovessi più trovare Pasang sarei nella cacca per il freddo di notte.
Scendo e mi incammino verso i chorten che vedo dietro la collina, in basso dopo il passo.
Quando arrivo lì, vedo il villaggio di Samar. Ma Pasang dove è? Non c’è.
Proseguo, entro nelle stupende viette labirintiche del villaggio, le percorro a naso e mi dirigo verso il chorten che sotto ha la porta d’uscita del villaggio. Lo attraverso e dietro, stravaccato al suolo, trovo Pasang che sta fumando in compagnia di un tizio. Li mortacci sua, mandare qualcuno a cercarmi no? A sto punto penso che Pasang sia davvero molto sprovveduto, molto inesperto e per niente in grado di gestire delle persone. Gli dico: “la strada che ho preso non so dove andasse a finire, e evidentemente non lo sapevi neanche tu e me l’hai indicata ugualmente” E lui: “Bho dev’essere interrotta”. Gli dico che d’ora in avanti avrei gradito parlare insieme molto chiaramente delle rotte da seguire, che so che lui sta imparando e che forse, per sicurezza, sarebbe stato meglio camminare sempre insieme, o a distanza ravvicinata. Lui non dice nulla, non chiede scusa, non dice ho sbagliato. Sinceramente non mi interessa. Mi interessa solo che capisca che, ok io e lui ci si diverte, ma se deve imparare a fare la brava guida così NON va. E che per essere una buona guida deve seguire le persone che porta e capirci qualcosa delle routes da prendere, deve chiedere quando non sa e non avere paura di dirmelo, altrimenti non avrà chances di lasciarsi alle spalle il lavoro come porter e progredire nel suo futuro.
Scendiamo nel ripido sentiero che porta giù al torrente per poi risalire sui gradini fino al primo passo, la natura qui è rigogliosa, poi come ho descritto sopra, si scende di nuovo e si risale sul Bena La.
Ci impiego un sacco a fare questo passo perché mi sono spompata correndo prima di Samar per raggiungere Pasang http://www.youtube.com/watch?v=AYyYrCREPME  A Bena mi devo fermare per prendere energia. Mi riempio di zucchero, cioccolato e tea caldo. Solo dopo mezz’ora posso ricominciare a salire verso il terzo passo senza troppa fatica e riesco a smazzarmi anche il quarto prima di Syangmochen.
Noi dovremmo andare a Geling (altri 5 km o 7, Pasang non lo sa) Decido quindi di fermarmi a Syangmochen http://www.youtube.com/watch?v=chLWwYoENz0
Qui trovo Riccardo, Marco e il buon Milan. Marco mi racconta che in tarda mattinata hanno visto arrivare Pasang a Samar, mentre loro facevano la visita del villaggio e che Milan deve avergli fatto un culetto a capanna per avermi lasciata sola, perché, dice Marco, il tono di voce era molto secco e incisivo.
Milan, quando mi incontra mi dice solo di non camminare mai più da sola: "can be dangerous". E io tra me e me penso: Ma no??? Io lo so bene! http://www.youtube.com/watch?v=EBcsQg4k2-M
La sera ceniamo assieme e ci divertiamo tutti in compagnia.
GIORNO 4: SYANGMOCHEN – TSARANG (CHARANG)
Da Syangmochen a Tsarang sono 7 ore e mezza con calma. La mattina alle 6.30 Milan mi bussa alla porta col tea caldo e i biscottini. Che gentile. Alle 7.00 faccio colazione e verso le 7.15 Pasang viene a mangiare anche lui. Partiamo tutti intorno alle 8.00. Faremo il percorso insieme fino a Ghami, poi loro andranno verso Drakmar, Ghar Gompa, io andrò verso Tsarang. Milan dice che è troppo lunga e che dobbiamo saltare Geling se vogliamo arrivare senza ammazzarci di fatica fino a Tsarang. Dice che inoltre la strada è più semplice perché, a parte il Ghami La, che è parecchio tosto, il resto del percorso sale dolcemente. Passando da Geling ci sono ancora troppi saliscendi. Meglio evitarseli.
Decidiamo quindi di bypassare Geling. Inutile allungare la strada, quindi prendiamo la scorciatoia per Ghami, che passa il Ghami La dopo un altro passo a cui ci si arriva pian piano. Pasang va, si fermerà in cima al Ghami La ad aspettare tutti quanti salutandoci dall’alto.
Io cammino tranquilla, Milan sta dietro di me, i ragazzi invece sono davanti.
Arrivati su, chiacchieriamo sul passo, facciamo foto e iniziamo la discesa verso il villaggio http://www.youtube.com/watch?v=0Ud-CzON-pQ
A Ghami sostiamo per il pranzo tutti assieme nella prima guest house che troviamo sulla strada, prima dell’ingresso nel villaggio. E’ molto carina e ha un gran bel giardino. Dopo pranzo io, Riccardo e Marco andiamo a cercare il palazzo reale. Vogliamo conoscere la principessa.
Ghami è un villaggio molto bello, con le viette in terra battuta e le casette bianche. Arriviamo al chorten che segna l’ingresso al palazzo reale. E’ abbastanza imponente e si vede che è molto antico. Qui vive la nipote del Re del Mustang. La principessa è una ragazza molto carina e ci accoglie per un tea nella sala da pranzo del suo palazzo, che ora in gran parte è diventato anch’esso una guest house. Ci racconta che il nonno ora non è a Lo Manthang, è malato ed è ricoverato in ospedale a Kathmandu per accertamenti. Dice che se starà meglio tornerà alla fine del mese di maggio in occasione del festival di Tiji, il più importante della antica capitale del regno di Lo. Resto dispiaciuta, perché se il Re non c’è non potrò incontrarlo e inoltre il suo palazzo sarà chiuso, non visitabile.
La principessa ci fa vedere il Gompa del palazzo e poi la sua collezione di antichi Tangka, Zhi, conghiglie sacre. Ha dei pezzi davvero pregevoli. Resto colpita da un Tangka che rappresenta la Ruota della Vita, tutto miniato in oro e rosso, fatto talmente bene che Yama, il Dio degli inferi, sembra balzare fuori dal dipinto.
Alle 14.30 ritorno alla guest house e con Pasang mi incammino giù in direzione del sentiero per Tsarang che scende al fiume appena sotto Ghami e poi risale fino a un piano che, sulla sinistra porta a Drakmar oltre i grandi chorten rossi e sulla destra risale fino al muro mani più lungo del Nepal e prosegue inesorabile fino al passo Yam La da cui poi si scende piano piano in una piana fino all’ultima piccola salita che porta poi a un lungo sentiero fino a Tsarang.
Gli altri vanno verso Drakmar. Il mio sentiero secondario invece, dal fiume risale ripido sull’altopiano dall’altro lato di Ghami. In lontananza sulla sinistra si vedono dei bastioni di roccia rossa, quelli della valle di Dramkar, per capirci, oltre i chorten, a destra il sentiero che siamo percorrendo noi, entra in una valle che sale verso il muro mani più lungo del Nepal. Qui io e Pasang ci facciamo delle foto.
Oltre il muro mani c’è la strada che va all’attacco della montagna verso il passo Yam La. E’ una strada a zig zag, che può essere tagliata con un percorso ripido in verticale, che seguiamo noi. In alcuni punti riprendo il zig zag, perché la salita col vento fortissimo, così ripida risulta inutilmente impegnativa, tanto che in alcuni punti non riusciamo neanche a andare avanti http://www.youtube.com/watch?v=6-FZ_LlSQYo
Raggiungo Pasang sul passo e riparati dal vento, facciamo un sacco di foto.
Ci riposiamo e insieme ridiamo un sacco finalmente, dopo 2 ore e mezza di cammino da Ghami.
Dall’altra parte della valle, si vedono gli avvoltoi e le aquile in volo sui canaloni. Uno spettacolo. Scandiamo insieme verso Tsarang chiacchierando. Nell’ultima mezz’ora mi fa male il ginocchio, non mi è mai successo in vita mia, ma arrivo a Tsarang comunque senza grossi problemi.
Tsarang appare subito bellissima, oltre lo stupa Sakyapa. Un presepe. Sembra un villaggio perfetto, tanto silenzioso, disabitato ma la cosa più bella è che appena i miei passi rumoreggiano sul sentiero, davanti alle prime case, si materializzano dei bambini che mi corrono incontro per salutarmi e darmi il benvenuto.
Subito dopo di loro arrivano gli adulti mandandomi benedizioni e chiedendomi foto sorridendo.
Io mi commuovo per la semplicità e la bellezza dei Lopa. Mi fanno sentire a casa, accolta, anche se sono sola.
Pasang non sa dov’è l’hotel e me ne rendo conto perché è da mezz’ora che giriamo nel villaggio col peso sulle spalle. Ridiamo, poi gli dico: “Pasang, non ti ricordi più dov’è la guest house? Vero? molliamo il bagaglio e cerchiamo”. Lui, che non ha ancora imparato a dire che non sa, da buon asiatico: ”No devo portare delle cose all’Hotel Kailash prima”. Alla fine decido di fermarmi sulla soglia di una locanda. E’ inutile andar in giro a caso coi pesi sulle spalle a cercare in due. Sono 8 ore che siamo in piedi in cammino. Lo aspetto per un quarto d’ora. Poi dopo un altro quarto d’ora a piedi fino quasi fuori il villaggio vedo la scritta “HOTEL KAILASH”. Mi viene da ridere. Questo non è il nostro hotel. Ok, mi va anche bene che non si ricordi più dov’è la guest house e decida di cambiare, ma non è così che si fa.
“Pasang devi imparare a dire che non ti ricordi. Non muore nessuno, ma dopo 7 ore e mezzo di trekking, non si fa gironzolare il cliente tre quarti d’ora alla cavolo”. Gli dico che sono disappointed, ma che è ok. E lui: “Mi dispiace, è che non sono abituato a dire no o non so”. E io: “testina è ora che impari”
La guest house non è nulla di che, con bagno in comune, insomma è normale come tante altre. Mi va bene uguale ovviamente. In Cucina, che è l’unico locale riscaldato, conosco una famiglia francese di 8 persone. Due di loro sono due bimbe di 6 e 9 anni.
Carini e stracarini i loro Nepalesi http://www.youtube.com/watch?v=bMLyjI9l3VI Kumar un omone grande e grosso è di gran compagnia e chiacchieriamo parecchio. Pasang va di Chang e Rakshi a nastro fino al tramortimento.
Stasera davvero facciamo festa, danze, canti, tutti insieme.
GIORNO 5: TSARANG (CHARANG) – LO MANTHANG
Al mattino mi accorgo che la guest house ha uno shop con dei bei pezzi vecchi, sia Tangka sia Zhi. Ma io non ho budget per lo shopping.
Dopo una abbondante colazione io e Pasang ci incamminiamo nel villaggio verso il Gompa http://www.youtube.com/watch?v=yNdcAodr8l0 dove ci sono i monaci a lezione.
C’è una pace immensa, inoltre il monastero è proprio bello.
Qui ho tempo di vedere da vicino le decorazioni tipiche Sakyapa, con le righe verticali.
In Tibet sono visibili solo appunto al monastero di Sakya (se lo si trova aperto) e purtroppo il grosso delle testimonianze di questa cultura in Tibet è stato distrutto. http://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g303776-d502851-r120418825-Sakya_Monastery-Shigatse_Tibet.html#REVIEWS
Qui invece vive, ed è meraviglioso.
Andiamo verso lo Dzong, ma non c’è molto da vedere, non c’è nessuno che ci faccia entrare e sembra essere in stato di abbandono. Un vero peccato.
Da Tsarang a Lo Manthang ci vogliono circa 5 ore. E’ ora di metterci in cammino.
Il sentiero scende ripido verso un canalone per poi risalire sulla montagna dal lato opposto http://www.youtube.com/watch?v=hvDv5NYkpnU
E’ un lieve saliscendi fino a un piccolo colle da svalicare oltre un chorten poi tutto più o meno in piano con la vista su monti innevati fino a un ultimo colle.
Da qui, oltre uno sperone di roccia all’interno del quale è scavata la strada, si apre in tutta la sua spettacolarità la valle di Lo Manthang. Il panorama è da togliere il fiato e si perde all’orizzonte. Da qui si scende fino al fiume e si risale fino alle mura della città.
Sto appena fuori le mura nella Lo Manthang Guest House che è molto accogliente. La cucina, senza stufa ma coi fornelli è il locale più caldo. La dining è fredda come del resto un po’ ovunque. Ma l’hotel ha camere con bagno privato e doccia calda col boiler e corrente elettrica a partire dalle 19.00. Anche nel bagno in comune c’è l’acqua calda per la doccia. Faccio subito conoscenza con la cuoca che sta preparando i momo. In cucina ci sono due gatti e un cucciolo di tre mesi di Tibetan Mastiff, un ammasso dolcissimo di lana che si addormenta sulla mie ginocchia mentre mi lecca la mano.
Qui è meraviglioso. Mi piace un sacco e mi piacerebbe starci un po’ di tempo.
Di fronte alla guest house abita un ragazzo italiano, Luigi, che da 14 anni sta restaurando gli affreschi dei gompa della città con pazienza certosina e io spero tanto di riuscire a incontrarlo http://www.himalayan-foundation.org/projects/culture/112912
Dopo un buon pranzo, verso le 15.30 iniziamo il giro di Lo Manthang. Facciamo il biglietto di ingresso ai Gompa principali Tubcen Gompa, il Jampa Lhaktang ed il Chode Gompa (che costa 10$) e proseguiamo. Le viette sono lastricate e la gente che incontro è curiosa e sorridente.
Ogni casa ha appeso sulla porta un teschio bovino che nella cultura Sakyapa è di buon auspicio.
Pasang mi fa troppo ridere si ricorda solo di un Gompa che però è chiuso. Riusciamo a vederne solo il chiostro itrufolandoci.
Poi chiediamo per trovare l’altro, dove c’è la scuola Sakya-pa. Per fortuna Lo Manthang non è grande e dopo aver avuto le indicazioni giuste lo troviamo. All’interno del gompa conosco un Lama che ce lo fa visitare ci porta poi a vedere il Museo dove sono conservate le antiche maschere cerimoniali, la scuola dove insegnano a fare i mandala di sabbia e ci accompagna al terzo Gompa più grande. C’è una Puja che durerà 16 giorni che è propiziatoria per il Tiji.
Fuori dal Gompa finalmente incontro Luigi, il restauratore italiano, che è in pausetta lavoro, tra una pennellata e un’altra sugli affreschi del 400:
http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1
http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-tupchen/tupchen-project
http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-jampa/jampa-project
Lui mi invita a casa sua per un tea per il giorno dopo.
Ora cerco un telefono. Ho promesso ai ragazzi che li avrei chiamati, ma in Mustang i telefoni non prendono. So che saranno preoccupati. Trovo un telefono in una bottega. Quando Amrit mi risponde mi dice: “Didi perché non hai chiamato? Qui siamo preoccupati” Così gli racconto che il telefono non prende e che lo richiamerò non appena sarò tornata giù a Jomsom.
Tornata alla Guest House, faccio una doccia calda, preparo il letto e mi rifugio in cucina. Anche Pasang sta con me, ormai siamo davvero inseparabili. Mi piace stare con le persone del posto a chiacchierare o spiegarsi a gesti, quando non ci si capisce a parole. Il risultato è che comunque in questi anni ho realizzato che con queste genti non si può non comunicare. Ceniamo e ci mettiamo d’accordo col gestore perché ci procuri dei cavalli per l’indomani alla volta delle Chhosar Caves e del monastero di Namgyal.
GIORNO 6: LO MANTHANG – CHHOSAR
Il gestore della guest house conosce tutti ed è in grado di organizzare escursioni a cavallo o in jeep verso le zone limitrofe di Lo Manthang. Io e Pasang decidiamo che nel nostro giorno di sosta qui a Lo Manthang andremo a cavallo fino a Chhosar.
Le Chhosar Caves sono bellissime, sempre nel deserto in quota, a pochi chilometri dal confine col Tibet bucherellano i bastioni di roccia ocra e rossi creando un’atmosfera davvero magica. In una mezza giornata abbondante si va e si torna a cavallo allungando per Namgyal, monastero molto bello e panoramico.
Pasang non è mai stato a cavallo ed è straentusiasta, anche se un bel po’ spaventato. Quando sale in groppa al mansueto quadrupede è rigido come uno stoccafisso, io inizio a ridere e lui mi vien dietro, dicendomi di non prenderlo in giro. Impossibile! Con noi viene Jacob, un trekker di Frankfurth, e la sua guida, che abbiamo conosciuto in Guest House a cena. Lui sta facendo un giro davvero lungo. Tornerà giù a Jomsom e poi proverà a fare il Tilicho all’incontrario, scendendo poi verso Manang. Di solito si va su da Manang, ma lui si vede che è un temerario.
In circa due ore arriviamo a Chhosar.
Il cielo è parzialmente coperto e col vento che tira in Mustang, stare in groppa al cavallo fa parecchio freddo. Io sono dell’idea che sia meglio farla a piedi. Pasang invece, passata l’iniziale titubanza, è felice come una pasqua, nonostante il freddo.
Il villaggio è carinissimo e ci si ferma al monastero dove c’è una scuola monastica e un piccolo ristoro.
Qui l’insegnante di Tibetano e Inglese della scuola chiama due monacini che ci accompagneranno all’ingresso delle grotte. Uno di loro ha le chiavi d’accesso.
Finalmente si cammina di nuovo. I piccini sgambettano come due piccoli cerbiatti. Sono bellissimi con le loro tonache rosse sullo sfondo ocra del deserto in quota http://www.youtube.com/watch?v=EqZff93q6Gw Si sale su una piccola collinetta su cui si ergono i bastioni di roccia dove sono state scavate le grotte.
E’ un paesaggio surreale. Una scalinata in pietra porta all’ingresso sbarrato, che ci viene aperto dal piccolo monaco.
Non è un percorso per tutti, visto quanto sono stretti e alti gli scalini. Bisogna fare molta attenzione, non ci sono parapetti e il vento forte può farti volar via di sotto. Una volta entrati nelle grotte scopriamo che sono tutte un dedalo di cunicoli orizzontali e verticali in cui ci sono scale a pioli per arrivare ai piani superiori dove si accede a una serie di camere/sale in cui gli asceti meditarono centinaia di anni fa.
Non tutte le grotte sono visitabili e di solito quelle che hanno al loro interno i dipinti non vengono mai aperte ai viaggiatori.
Torniamo giù. Io sono felicissima di aver visto questo luogo mistico anche perché loro dicono che qui è stato il mitico Guru Rimpoche.
Ci rincamminiamo verso il monastero e i due piccoli monaci ci portano a vedere i loro umili alloggi.
In ogni cameretta dormono in 7 o 8, dicono che così si scaldano perché la notte fa davvero freddo. Visitiamo con loro il Gompa e ci fanno una piccola puja, per farci capire che loro, anche se sono piccini, sono due Lama, due piccoli reincarnati.
Sono bellissimi http://www.youtube.com/watch?v=85K0hLvxtMQ
Chhosar è un luogo di gran pace, un posto dove la mente ti si svuota da tutto e dove senti una gran tranquillità.
Di ritorno il vento si alza sempre più e prende forza sempre più, più passa il tempo.
Io fermo il mio cavallo: le aquile in cielo il vento che soffia forte e il cui suono si confonde col suono delle trombe monastiche che rimbomba cupo nella valle, il mio cuore che batte.
Tutto ciò mi da un’emozione indescrivibile.
Ci dirigiamo verso Namgyal, un bel monastero che è situato sopra la vallata in cui sorge Lo Manthang.
E qui tragicomicamente mi si incastra l’obiettivo della mia canon. A partire da questo momento non potrò più fare foto decenti. Troppo vento, troppa sabbia.
Torniamo a Lo Manthang e, dopo una bella doccia, attraverso la strada e vado a bussare all’uscio di Luigi. Felicissimo di avere visite, mi apre. Lui e un’altra restauratrice stanno ridipingendo la casa, tutta in bianco, così i tangka che esporranno in mostra risalteranno di più. Verissimo. Vogliono raccogliere fondi per i restauri vendendo i Tangka che sono dipinti dai ragazzi a cui hanno insegnato loro. Il lavoro pregevole che fanno questi due ragazzi, oltre al restauro vero e proprio degli affreschi, è proprio il fatto di insegnare alla popolazione locale come si fa ad avere cura e a conservare i propri beni, l’importanza che hanno in quanto testimonianza della storia antichissima della popolazione himalayana. Molti ragazzi hanno imparato da loro l’arte del restauro e della conservazione dei beni architettonico culturali, cosa che in Himalaya è quasi del tutto assente. Sono davvero bravissimi.
Mi offrono un tea e loro si fanno un bel caffè con la moka. Mi raccontano che sono arrivati su da neanche un mese, col camion (in inverno qui ci sono metri di neve, troppo estremo per viverci tutto l’anno) portando un container di provviste per i prossimi mesi in cui vivranno qui, come ogni anno. Prima era più complicato portar su roba e ci si doveva accontentare, ora è invece possibile, grazie alla strada in costruzione che porta fino a lì da Jomsom e che collega il confine cinese. Il confine ora è aperto solo ai mercanti Han, che vengono giù di domenica a vendere le loro cinesate. La cosa mi rattrista parecchio. Anche i due ragazzi non ne sono del tutto felici. Il Mustang ha un equilibrio molto precario e, se da un lato una strada può migliorare le condizioni di vita della gente, dall’altro può distruggere appunto un equilibrio naturale e culturale che dura da secoli.
Luigi, che è un ottimo fotografo, cerca di pulirmi l’obiettivo, ma non riusciamo a risolvere un granché.
Tornata in Guest House, ritrovo Riccardo , Marco e Milan, con cui ceno e chiacchiero fino all’ora della nanna.
GIORNO 7: LO MANTHANG – GHAMI
Da Lo Manthang a Ghami sono 8 ore di cammino. Pasang non ha mai fatto il tratto che passa da Ghar Gompa ed è molto preoccupato perché ha paura di perdersi. Dopo Lo Manthang non è segnato nessun sentiero, inoltre ci sono due passi alti da svalicare. Ne parliamo col gestore della Lo Manthang Guest House che ci dice che i sentieri sono addirittura due, uno dei quali porta a Marang allungando il percorso e che, se non siamo certi della via, è poco sicuro proseguire da soli. Decidiamo di farci accompagnare da un cavallante, che è qui con noi in cucina e che deve andare al Gompa per una Puja. Pasang ora è decisamente sollevato.
Il sentiero appena tracciato e costantemente in salita, sembra non aver fine. Al di là del primo colle, ci si accorge che non è un vero e proprio colle, ma oltre c’è un piccolo avvallamento e un'altra salita ancora. Attraversiamo una vasta area verde dove trovano ricovero le greggi di capre, poi saliamo di nuovo accanto a un colle che conduce al Chogo La, passo a 4350 metri di altitudine, da cui poi si scende verso Ghar Gompa.
Ghar Gompa, che è considerato il più antico monastero del Mustang, è il monastero precursore di Samye in Tibet, e fu costruito nell’ottavo secolo dal Guru Rimpoche, Padmasambava, per attirare e sconfiggere gli Dei maligni che avrebbero potuto compromettere la costruzione di Samye.
Samye fu il primo monastero Buddhista, edificato in Tibet dal Guru Rimpoche su ordine del re Trhisong Detsen. Il monastero venne costruito una prima volta ma andò distrutto perché la valle in cui era stato edificato era invasa da demoni. Padmasambava, quindi costruì Ghar Gompa per distrarli e poi li sconfisse sul colle Hepo Ri, alla cui base finalmente edificò Samye.
Ghar Gompa contiere migliaia di immagini di Buddha scolpite nella pietra e finemente decorate, inoltre, i monaci dicono che qui siano conservate le scritture di Padmasambhava, il Guru Rimpoche.
Il Gompa è stato in parte restaurato: http://www.luigifieni.com/conservation.html#/1_1/nepal-ghar/ghar-project
La strada che conduce al monastero è circondata da chorten a gradoni che sono molto insoliti e sembrano piramidi.
Sopra il monastero c’è la casa di un lama che volentieri ti cucina un pasto per 300 rupie. Quando saliamo sulle scale di legno, ci accoglie in una saletta buia, con i tappeti su gradoni di terra battuta e la stufa nel mezzo. Lui sta cucinando dentro un grosso paiolo una sorta di polenta speziata che viene usata proprio come da noi per accompagnare gli intingoli. E’ davvero polenta, ma viene cotta molto meno e infatti resta appiccicosa. Loro la chiamano “dhiro”.
E’ arrivato il momento della puja. Quando vado in himalaya a volte alcuni amici mi chiedono di far fare una puja per loro in luoghi particolarmente sacri, potenti e densi di misticismo, in modo tale che sia loro propizia, che li protegga e che porti loro del bene. Ghar Gompa è il posto adatto per farla http://www.youtube.com/watch?v=UhVmz4_r-6M
Entriamo in una saletta buia, illuminata dalle lampade votive al burro di yak, ritrovo il profumo di burro tipico del Tibet. I lumini oscillano agli spifferi di vento che passano dagli sgangherati serramenti della finestrona della sala, e rendono tutto fluttuante. Guardo il monaco controluce davanti la finestra mentre accende le nostre lampade e officia il rito della puja.
Da qui il sentiero per Drakmar è bello evidente. Possiamo benissimo proseguire da soli. Si vede il bivio che porta a Marang, il paesino è ben visibile a metà valle, e inoltre in fondo valle si vede e riconosce benissimo Tsarang. Pasang si stupisce del mio senso dell’orientamento. Io in Himalaya sono a casa. Il sentiero riparte più o meno in salita con alcune parti in piano e altre più ripide http://www.youtube.com/watch?v=Y2IdopX8aZ0 fino al Muila Bhanjyang, http://www.youtube.com/watch?v=d3R1jnkMm5I un passo tra due speroni di roccia a oltre 4100 metri che si apre poi sulla Valle di Drakmar che, con le sue formazioni rocciose e le sue montagne rosse simili a quelle della Cappadocia, lascia davvero attoniti e sorpresi http://www.youtube.com/watch?v=lBfWVTPPISg Da qui si scende in un sentiero sassoso circondati dalle rocce fino a giungere a Drakmar http://www.youtube.com/watch?v=N6Wp_v9WzBk
Qui è pieno di grotte sulle montagne e i colori sono davvero unici.
Pasang decide di abbandonare la via principale e ovviamente ci troviamo in un punto no way out. Ridiamo parecchio e ci facciamo qualche foto http://i50.tinypic.com/acu7n8.jpg E’ tutto il giorno che chiacchieriamo. Quindi torniamo indietro e attraversiamo la periferia sud del villaggio costeggiando e passando sotto le rocce.
I monaci di Drakmar ci hanno detto di seguire il sentiero principale, e a mio avviso non ha senso cambiar rotta. A questo punto la strada si biforca in due. A sinistra riconosco la valle che va verso i chorten che portano al bivio verso il muro mani e verso Ghami che abbiamo percorso all’andata, la vedo perché all’andata ho visto da molto lontano il luogo dove mi sto trovando ora, quindi son certa della strada da percorrere. E’ in piano e costeggia a valle una ripida montagna, dietro la quale c’è Ghami.
A destra invece il sentiero si inerpica su una montagna per poi ridiscendere poi verso Ghami.
Pasang vuole cambiare strada e si avvia sulla montagna. Gli dico che non è la strada più breve e che è inutile svalicare un altro monte quando basta costeggiarlo. Poi io volevo vedere i grandi chorten da vicino. Ma non c’è verso. Ci inerpichiamo in un sentierino col vento fortissimo. Una volta arrivati al passo in cima, guardiamo la strada principale giù in basso e vediamo bene il muro mani, i chorten e il percorso fatto all’andata in direzione di Tsarang http://www.youtube.com/watch?v=9Vyv1KYjNIg
La nostra deviazione da purgatorio però ci regala un incontro fortunato. Incrociamo un gruppo di capre blu dell’himalaya che è difficilissimo scorgere in quanto selvatiche e molto schive.
Finalmente scendiamo a Ghami dal ripido sentiero.
Con Pasang decidiamo di stare al Royal Palace. Lui vuole tornare a casa e raccontare di aver dormito in un palazzo reale, a casa della principessa del Mustang. La sistemazione forse è la peggiore di tutto il trekking. Le stanze sul tetto hanno grossi spifferi e sono fredde e non molto pulite. Il palazzo è però molto bello e la principessa, che avevo conosciuto all’andata, è davvero accogliente. Il suo gompa privato e il suo negozio di anticaglie ha dei tangka meravigliosi, idem vale per le statue, le conchiglie e gli zhi. Riproviamo a trattare un po’. I costi però sono per me troppo alti. Partono da 450$. Siamo riusciti ad arrivare a 200 per la ruota della vita rosso fuoco e oro che avevo visto con Riccardo e Marco, ma per me è comunque ancora troppo.
La sera restiamo nella sala da pranzo accanto alla stufa: io, Pasang, la principessa e sua nonna, la sorella del Re, chiacchieriamo piacevolmente fino a che il fuoco si esaurisce e poi andiamo tutti a dormire.
GIORNO 8: GHAMI – SAMAR
Da Ghami a Samar, sono circa 7 ore. Il percorso è lo stesso fatto all’andata ma in senso opposto.  Quindi sono 5 passi da svalicare. Bello tosto ma ci passa in allegria. Ci fermiamo quando ci pare e in alcuni punti, stranamente abbiamo la necessità di cazzeggiare e ci diamo ai Led Zeppelin o ai Linkin Park a tutto volume, cantando a squarciagola. Tanto non c’è nessuno.
Pasang è solare, felice, mi confida che è davvero contento di camminare con me, che non gli è mai successo di divertirsi così con nessun cliente, ne di riuscire a parlare così tanto di tutto ed avere comprensione nonostante lui sia così scombinato e abbia ancora molto da imparare. Dice che questa è un’esperienza che non dimenticherà mai. Pure io sono felice. Questo trekking è meraviglioso e Pasang è un mattacchione, con cui mi sto divertendo tantissimo.
A Syangmochen ci fermiamo in una locanda. La fame arriva. Qui ci facciamo l’ennesima zuppa di noodles, ma non basta. “Ci facciamo un altro tea?” E vada per il tea. Ci vorrebbero i biscotti, ma non ne abbiamo. A sto punto decido di sfoderare la stecca di nocciolato fondente della Lindt. Pasang la guarda un po’ stupito e mi fa “Che c’ha dentro? Peanutes?” e io: “Non mi dire che non hai mai visto ne assaggiato una nocciola” Never! Pasang non ne aveva mai mangiate. E gli piacciono un sacco. Gli prometto che l’anno prossimo gli porterò una stecca tutta per lui. Usciamo e continuiamo.
Il percorso dei passi verso Samar è duretto anche al ritorno, ma sarà che appunto è “il ritorno”, io lo sento davvero molto meno rispetto all’andata.
Arrivati a Samar ci dirigiamo verso l’Annapurna Guest House, che è la guest house più nota e carina del villaggio, con le camere col bagno e la doccia calda, ma purtroppo è full, tutta piena, non ha nemmeno una stanza libera. Pasang dice che è un peccato perché qui gli avevano detto che c’era da divertirsi. Pazienza, proseguiamo fino all’Himal Hotel and Lodge, che sta più avanti, verso la fine del villaggio, accanto a un campo di alberi da frutto.
Questa guest house è una casa famiglia. La cucina è calda e la camera è pulita e ha il bagno proprio accanto. Certo, come la maggior parte delle guest house, le pareti delle camere sono di compensato. Se ti ci appoggi finisci nella camera accanto, sul letto del vicino. Non c’è acqua calda ma l’elettricità c’è 24 ore su 24 e le donne, se vuoi ti danno un catino con l’acqua bollita per lavarti al mattino. Le padrone di casa in cucina stanno pelando le patate e ci sono alcune guide e alcuni porter con cui beviamo un tea coi biscotti. Loro stanno andando su con dei tedeschi. Quando arriva il proprietario io e Pasang ci guardiamo senza dire nulla, è l’uomo più sporco che ho incontrato in Mustang, talmente sporco che ha i pantaloni con una crosta lucida che li ricopre interamente e che sarà lì da no so quanto. Gli altri che bazzicano qui sono tutti dignitosi. Lui è proprio un caprone ma è gentilissimo e sorridente. Poco dopo arriva il fratello gemello che è uguale a lui e puzzolentissimo pure lui. La cosa che fa ridere un sacco Pasang è che loro vogliono stare attorno alla stufa con noi a parlare, sono un sacco socievoli e continuano a porgerci le loro lerce pelli di yak, dove dicono che ci dobbiamo sedere per stare più caldi. Ma ne io ne Pasang abbiamo voglia di metterci lì sopra. Vi giuro, io sono molto adattabile, ma sta cosa a prova di pulce davvero non me la sono sentita di utilizzarla e son rimasta sullo sgabello. Ceniamo bene e restiamo a chiacchierare più o meno sino alle 21.30 accanto alla caldissima stufa. Parliamo moltissimo e lui non finisce di ringraziarmi. Non ha mai avuto una cliente come me, che gli è stata vicina e si scusa per gli innumerevoli errori commessi. Io gli dico che è giovane e deve imparare, che non c’è problema, e non c’è veramente. Per me è un trekking bellissimo.
GIORNO 9: SAMAR – KAGBENI
La mattina è splendida, sole e tepore. Da Samar a Kagbeni sono circa 7 ore. Dopo il passo  Dajong  La http://www.youtube.com/watch?v=VdBz6PrXJkw riaffronto il sentiero meraviglioso a gradoni strapiombanti che porta giù a Chele http://www.youtube.com/watch?v=t_bfxZxIoF0 però sta volta Pasang è al mio fianco http://www.youtube.com/watch?v=8coQuQKg0EU
Non ci fermiamo a Chele, neanche per un tea veloce, e proseguiamo giù verso il Kali Gandaki riprendendo la via del ritorno sui due ponti in ferro tra le pareti di roccia rossa.
Tiriamo fino a Chhusang dove finalmente ci fermiamo per un tea. Io pranzerei anche, visto che qui cucinano bene, ma Pasang dice che sarà più bello fermarci a pranzo nella Apple Farm giapponese sopra la montagna. Quindi risaliamo pian piano sui tornanti e arriviamo sopra il costone di roccia dove c’è questa fattoria. Giriamo attorno all’ingresso, ma non c’è anima viva. E’ chiusa. Pasang viene preso da scoramento: “Nooo io non ce la faccio a camminare senza cibo, didi e adesso che facciamo? Avevi ragione tu, dovevamo fermarci a Chhusang!” Io mi metto a ridere e lui: “No didi non ce la faccio davvero” Gli dico di mettere giù il saccone e di fidarsi di me. Apro il mio Duffell e tiro fuori il mio pacco provviste per le emergenze: un salame, due scatolette di carne, i taralli e un pacchetto di parmigiano reggiano a tocchetti sottovuoto. Poi prendo il mio coltellino svizzero: “Pasang tu sei Buddhista no? Se vuoi ti posso dare una scatola di carne di manzo e ci mangiamo sto salame, sempre se non hai problemi” e lui: “Io posso mangiare quello che mi pare, mica sono induista, però non lo dire ad Ammar che ho mangiato la vacca santa” Ci mettiamo a ridere e iniziamo a mangiare. Pasang resta totalmente estasiato dal parmigiano e mi chiede se ne ho ancora e se può tenersi il pacchetto già aperto per stasera. Io gli dico che non c’è problema e che ne abbiamo ancora due pacchetti. “Didi non ho mai mangiato un formaggio così buono”. Eh santa Italia!
Nel percorso in discesa troviamo dei fossili. E sì, la valle del Kali Gandaki è molto famosa per i fossili, si trovano amoniti, zampe di animali marini, conchiglie. Qui, come in Tibet c’era il mare. Pasang mi dice che a Muktinath ce ne sono un sacco e pure appena fuori Jomsom, sul greto del fiume. Lui mi racconta che la gente del posto va a caccia di sassi. Soprattutto quelli tondi e scuri, i Saligramam. Li prendono e li scagliano su altri sassi in modo che si spacchino a metà e rivelino i fossili al loro interno e poi li vendono ai mercati. Ovviamente non è una cosa lecita, ma molti la fanno, perché c’è chi compera. Non si dovrebbero acquistare per non incrementare questo commercio che depaupera il Kali Gandaki dei suoi frammenti di storia. Se si sta attenti, per terra, anche sulla strada ci sono molti frammenti. Ovviamente van lasciati dove sono. Se tutti si portassero via i fossili, non ce ne sarebbero già più.
Arriviamo con calma a Kagbeni, chiacchierando e ridendo http://www.youtube.com/watch?v=xEGN9_GjYpI Ci fermiamo subito al check post, registriamo il trekking permit e l’uscita dall’area protetta dell’Upper Mustang dopodiché andiamo allo Shangri-La Hotel dove nella mia bella camera matrimoniale con vista sul Nilghiri mi faccio una doccia calda e finalmente mi rilavo i capelli. Giù mi aspetta una bella merenda: tea, biscotti e popcorn.
La sera sto con le cuoche a vedere le fotografie e a chiacchierare. Poi a nanna presto che domattina si torna in quota.
GIORNO 10: KAGBENI – MUKTINATH
La mattina all’alba apro gli occhi all’odore del ginepro bruciato, dai vetri della mia finestra entra il riflesso rosso dei ghiacci del Nilghiri illuminati dal primo sole. Mi tiro su. Giù in strada un pastore conduce le sue capre al pascolo e un uomo è già sull’uscio della sua casa.
Mi vesto e scendo per la colazione. Un’omelette, e un tea caldo.
Il tratto da Kagbeni a Muktinath è di 3 ore e mezza.
La strada ha un panorama spettacolare sul Dhaulagiri ma è piena di traffico.
Le jeep stracariche di pellegrini indiani salgono e scendono sullo sterrato sollevando un gran polverone e togliendo molto alla spettacolarità del tragitto. La cosa mi infastidisce parecchio. Da che mondo e mondo i pellegrinaggi si fanno a piedi, no? Cerchiamo percorsi alternativi per non incrociare le auto http://www.youtube.com/watch?v=C_juK_VABDo
Arriviamo al villaggio di Jarkhot che sta a 40 minuti da Muktinath, tipicamente tibetano, con un bel gompa.

Tutto molto autentico e con un panorama sul Thorungh Peak e sul passo, davvero unico. Visitiamo il Gompa e chiacchieriamo un po’ con una tedesca che fa volontariato qui da molti anni insegnando inglese ai bambini nella scuola del villaggio. Da qui proseguiamo verso Muktinath attraversando campi e collinette.
Muktinath, nome di derivazione sanscrita vuol dire sacra salvezza (mukti salvezza, nath sacro/santo), per i buddhisti è invece Chumig Gyatsa che in tibetano vuol dire cento acque, luogo di devozione di una manifestazione di Avalokiteswara, il Buddha della Compassione di cui è incarnazione in terra il Dalai Lama. La cittadina a prima vista per me è un trauma.
E’ tutta un work in progress, con ruspe, gru, case in costruzione, alberghi. All’arrivo c’è un enorme parcheggio con un sacco di jeep pronte a caricare turisti e pellegrini indiani. La Guest House dove dovremmo essere prenotati è full, quindi proviamo a cercare altro. Troviamo una Guest House invasa da trekkers francesi chiassosi e poco socievoli. Ha un campo con i fili per stendere e una fontana e attorno c’è una struttura dove sono situate le camere. In angolo c’è un solo bagno in comune. Ci mettiamo sul terrazzo al sole e mi accorgo che il telefono della Ncell finalmente prende.
Parlo con Amrit e con Yam, chiamo mia madre in Italia che finalmente mi sente ed è felice e poi chiamo Paola che è in ufficio e inizialmente non capisce chi io sia. Non ricordo bene (eheheheh) ma mi sa che ho chiamato pure il Brahmino. Sì sì, l’ho chiamato il mio Brahmino.
Il sole scotta a 3800 metri, mi bevo un tea e mangio un piattone di riso saltato con le verdure.
A pranzo finito, andiamo verso la zona dei templi e passiamo al check post a far timbrare il trekking permit. Il check post sta proprio nello stesso vecchio stabile dell’ospizio dei pellegrini. Muktinath è piena di gente, troppo affollata. Qui arrivano giù dal Thorung La, l’alto passo a oltre 5400 metri, tutti i trekkers che fanno il Circolo dell’Annapurna, che è una delle trekking routes più battute del Nepal.
Arrivata su, io non percepisco tutta questa energia positiva che dovrei avere in un luogo così mistico come Muktinath, che è uno degli 8 luoghi più santi per gli induisti e per i buddhisti del subcontinente indiano, un luogo che è simbolo di armonia e integrazione tra queste due grandi religioni.
Il tempio indù dedicato a Vishnu è uno dei più antichi esistenti e ha la murti della divinità custodita all’interno di una piccola pagoda che sta in una piazzetta circondata da 108 fontanelle a forma di testa di vacca da cui sgorga acqua santa.
http://www.youtube.com/watch?v=InqSeyBBy3c I fedeli vestiti di bianco sono soliti fare la Khora passando sotto le fontanelle e facendosi letteralmente una doccia ghiacciata, che diciamo che farà tanto bene al loro spirito ma a 3800 metri non so quanto farà bene al loro fisico.

Il Gompa Buddhista è molto particolare ma un po’  inquietante. Sotto l’altare con le divinità, c’è un buco coperto da una grata metallica e dentro si vede nel buio una fiamma che soffia e si agita ai venti del sottosuolo. Brrr. Dicono che non si spenga mai e che sia santa, per gli induisti rappresenta Brahma il creatore. Io che sono spesso dissacrante penso che sti furbacchioni avrebbero un giacimento di metano proprio sotto i loro piedi, ma…è santo. Comunque non ho le sensazioni di pace e purezza che ho di solito in luoghi molto venerarti e questo mi lascia molto perplessa. E sì che pure qui, dicono sia stato in meditazione il Guru Rimpoche, durante il suo viaggio verso il Tibet e inoltre è un luogo dove sono presenti tutti e 5 gli elementi che costituiscono il mondo sia per gli induisti sia per i buddhisti: terra, acqua, aria, fuoco e cielo. Davvero non capisco perché non ho buone sensazioni qui.
Io e Pasang non stiamo più di un’ora e mezza tra i templi. Facciamo ognuno il suo piccolo chorten di pietre sacre, per ringraziare per come ci sia andata bene fin ora, e poi scendiamo verso la caotica cittadina.
In Guest House c’è fermento, e fa freddissimo. In Himalaya non sono abituati a chiudere le porte, questo perché, soprattutto le popolazioni di origine tibetana, sono cresciute in tende, le cui porte non erano altro che un telo spesso di cotone o lana con ricamati simboli sacri buddhisti e rivestito di pelle di yak, per cui non hanno mai avuto la necessità di aprire o chiudere una porta. La porta va, come va il vento. Indi la lasciano sempre aperta, sicché la temperatura che c’è all’interno delle strutture in muratura spesso è pari a quella esterna, conservando però in più umidità e vento. Pasang mi fa: “Giaroooo!” che sarebbe “gelido”. Il sole sta diventando debole e le montagne fanno ombra sul villaggio. Ci guardiamo e pensiamo la stessa cosa: “questo posto non ci piace” o per lo meno, non ci va più di stare qui. Io gli dico che potremmo incamminarci e tornar giù a piedi a Kagbeni. Pasang dice che tra un’ora arriva il buio e che sarebbe troppo pericoloso scendere a piedi. Ci sono troppi burroni e poi ha paura di perdere la strada. Mi dice:” come facciamo?”. Io ho un flashback a molti anni fa, quando giravo il Nepal e le sue splendide colline in motocicletta con la mia metà, sentendomi un po’ il Che con Granado nei Diari della Motocicletta, però in Nepal.” Pasang sei mai andato in moto nei sentieri alti in Himalaya?” e lui: “no Didi, sempre a piedi” e io:”dai forza, andiamo in paese e cerchiamo una moto!” lui inizia a ridere e mi dice che sono matta, nessuno si avventura di notte sugli sterrati  in montagna in moto. E’ pericoloso. Io gli dico che se tra un’ora farà buio, tra un’ora in moto saremo alle porte di Kagbeni.
Chiediamo in città e quando ormai ci sembra di non avere più speranze che nessuno ci fornirà nessuna motocicletta, riusciamo a combinare.
Il tramonto sta arrivando e da un lato il cielo blu scuro è all’orizzonte dell’Himalaya, e dall’altro il colore dell’orizzonte dietro le colline assume tinte sempre più sgargianti. Dopo Jarkhot, imboccata la valle che scende verso il bivio per Jomsom e per Kagbeni, il Dhaulagiri ci appare da dietro le colline rosso come il fuoco. Urliamo di gioia e stupore. Quasi mi scendono le lacrime, un po’ per il vento gelido, un po’ per lo spettacolo e l’emozione di vedere questo 8000 infuocato dal sole al tramonto. Credo che questo sia stato il tratto in moto più emozionante che ho fatto in Nepal.
Quando arriviamo a Kagbeni è buio e siamo esaltati come due ragazzini. Sì ok, io sono esaltata come una ragazzina, Pasang è un ragazzo, per fortuna sua è sempre sorridente e entusiasta.



Entriamo allo Shangri-La facendo baccano e il gestore ci accoglie stupito: ”Che fate voi qui?” e noi: “Siamo scesi da Muktinath in moto!” e lui: “ma è buio pesto! Dai venite in cucina a mangiare”. Ci accolgono tutti con calore. E’ bellissimo davvero. Per cena c’è la zuppa di noodles con le verdure. Insegno a Pasang a grattugiarci dentro il parmigiano, poi ci mettiamo dentro i taralli rimasti al posto dei crostini. Per noi è un gran cenone, siamo felici, soddisfatti e appagati per aver chiuso la nostra giornata in modo strepitoso, in moto, in Himalaya e andiamo a nanna contenti.


GIORNO 11: KAGBENI – JOMSOM
Da Kagbeni a Jomsom sono 2 ore e mezza di cammino, massimo 3. Partiamo al mattino con calma tra una chiacchiera e un’altra risaliamo il corso del Kali Gandaki e delle colline che a picco si ergono sul fiume http://www.youtube.com/watch?v=aaBzqUeHMf0
A circa una mezz’ora da Jomsom, lasciamo il sentiero e ci fermiamo una mezz’ora in riva al fiume. Pasang cerca i Saligramam per farmeli vedere in natura, ma non ne trova, se li devono essere presi tutti i commercianti, gli dico io. A Muktinath infatti, appena giù dal sentiero che porta dai templi al villaggio c’erano parecchi banchetti che vendevano questi fossili contenuti nei sassi tondi neri. Per gli induisti sono sacri e sono considerati manifestazioni di Vishnu in terra. Io credo che dovrebbero essere lasciati dove sono. Nel greto del fiume.
Jomson ci appare all’orizzonte proprio sotto la cima del Dhaulagiri.
Caspita, il nostro trekking sta finendo, stiamo camminando gli ultimi chilometri dei 200 da percorrere in questa nostra trekking route dell’Upper Mustang, ed è molto emozionante.
Arriviamo a Jomsom alle 10.30 del mattino http://www.youtube.com/watch?v=S6sFmC6AZzY
Il vento si è già alzato e percorriamo tutta la via principale fino alla fine del villaggio dopo l’aeroporto dove c’è la nostra Guest House che è praticamente con vista panoramica sul Nilghiri e sulla pista dell’aeroportino del villaggio.
Non ci credo. Ho finito il trekking. Un grande successo sia per me sia per Pasang, alla sua prima esperienza da guida in Mustang, e poi siam stati davvero benedetti, il meteo è stato ottimo.
Arrivati al Tilicho Hotel, la prima cosa che facciamo è farci dare le stanze. La mia al pian terreno sul cortile dell’hotel, ha due bei letti singoli e un bel bagno con la doccia calda. Mentre io mi sorseggio un tea mando Pasang nella mia stanza a farsi la doccia, visto che la sua camera non ce l’ha. Poi, quando lui ha finito e esce, mi fiondo in doccia pure io. I miei pantaloni da trekking sembrano di cartone, nonostante li abbia spesso sbattuti, non li lavo da quando siamo partiti e sono impolverati a tal punto che nonostante siano neri il colore che hanno assunto è più o meno grigio beije. Mi rilavo i capelli e poi accumulo tutte le cose da lavare e esco nel cortile.
Pasang è già all’opera nel lavatoio con la spazzola, il sapone di marsiglia e un grosso catino di latta. Io prendo uno sgabellino e mi metto vicino a lui a fare il bucato. Lavo tutto. Finalmente. Anche i pantaloni, a cui devo dare tre ripassate perché la finiscano di rilasciare acqua torbida. Poi stendiamo tutto al sole e al vento.
E’ ora di pranzo, un piatto di momo e via a passeggio. Non ci è bastato aver fatto 200km di trekking, vogliamo fare due passi a Jomsom.
Andiamo in cerca della casa di Jimi Hendrix.
Eh già. Negli anni '60 il grande chitarrista, mito di milioni di hippies aveva trovato casa proprio qui. Jomson infatti è tutt’ora meta di pellegrinaggio da parte di nostalgici dei sixties.
Attraversiamo il ponte sospeso sul fiume e cerchiamo di capire dove si trova http://www.youtube.com/watch?v=5HMpmOyJicg Finalmente troviamo una guest house con un bel cartello all’ingresso. Sì è qui.
Questo è il posto dove è vissuto per un po’  Jimi Hendrix.
Torniamo indietro e vediamo se riusciamo a prenotarci un volo da Pokhara a Kathmandu per la mattina dopo, perché c’è passata la voglia di dover fare il viaggio col bus. Però pare un‘impresa impossibile perché non c’è neanche un posto.
Arrivati alla guest house io salgo sul terrazzone a vedere il Nilghiri al tramonto poi entro nella sala da pranzo tutta a vetri. Ci ha battuto il sole durante il giorno e all’interno c’è un bel tepore. Mi siedo e prendo un tea con una ottima apple pie e: “Hallo!” Mi giro e vedo che è Jacob, il trekker solitario tedesco. Un abbraccio e si siede con me a chiacchierare. Decidiamo di cenare insieme.
Qui c’è il wifi, e funziona bene, finalmente riesco a comunicare anche coi miei amici tramite FB e a postare qualche foto. E’ l’ora del sonno. Domani si torna giù a Pokhara.
RITORNO A POKHARA
Al mattino, dopo una abbondante colazione mi metto sul terrazzone che sta affacciato sulla pista dell’aeroporto a godermi lo spettacolo degli atterraggi e dei decolli con lo sfondo dei ghiacci a 7000 metri del Nilghiri http://www.youtube.com/watch?v=dFoN2VKG9fk
Poi Pasang mi chiama: ”Sono le 8.30 e tra neanche un’oretta abbiamo il volo per Pokhara, dobbiamo scendere in aeroporto”.
Il Volo Jomsom Pokhara, 20 minuti di delizia! Quando il pilota da l’ ok per la partenza e fa rullare i motori noi 16 passeggeri siamo davvero emozionati.
Se ti siedi a destra vedi l’ice fall del Dhaulaghiri, se ti siedi a sinistra vedi l’Annapurna (controsole) molto bello, tanto bello, tutti e due vicini vicini, ti sembra di toccarli con le mani. Da togliere il fiato.
Arriviamo a Pokhara tranquillamente. Proviamo ad acquistare i biglietti in aeroporto per Kathmandu, ma davvero non c’è posto fino a domattina, quindi non ci resta altro da fare che prendere un taxi che ci porti in centro e, vista l’ora tarda, prendere il primo microbus che troviamo per Kathmandu. Sì perché i bus pubblici dal bus park partono presto e ora è tardi pure per quelli.
Sento Yam ed è stra preoccupato, non vuole che io prenda il microbus: “E’ pericoloso! Aspetta domani!” Ma io non posso aspettare, domani è l’unico giorno che ho per stare un po’ tranquilla in Valle. Voglio tornare a Kathmandu e arrivare nel primo pomeriggio.
Il microbus è carico e più volte l’autista viene insultato da due signore e da un giovane che sono stra preoccupati per la loro incolumità. Corre troppo, fa sorpassi azzardati in curva sui tornanti, è quasi sempre nella corsia opposta. Insomma non è il massimo e io sconsiglio vivamente a qualsiasi viaggiatore di fare questa esperienza. Abbiamo rischiato due frontali con due camion. E la strada a doppio senso di circolazione, che ha una sola corsia per ogni senso di marcia, ha il costone di roccia da un lato e il burrone dall’altro. Arriviamo a Kalanki alle 15.30, in 5 ore e mezza da cardio palmo, quando col bus ce ne voglio 7 o 8. Aveva ragione Yam, mai più. Io e Pasang ci abbracciamo forte forte. Il nostro trekking in Upper Mustang è stato un’ esperienza meravigliosa per tutti e due.
A Kalanki c’è già chi mi sta aspettando, mi saluta dal finestrino dell’auto. Adesso sorride sempre ed è felice quando mi vede. Sarà perché non mi vede mai, dico io, lui dice di no.
Ora andiamo a Bhaktapur, la mia Bhaktapur, la nostra Bhaktapur. Torniamo a casa. Mero ghar Nepalma.