venerdì, marzo 03, 2006


Luglio 2002….si parte per il Guatemala. Come al solito zaino in spalla e biglietto aereo AR, pronta per un mesetto di Mundo Maya.
Guatemala City la vedo solo dal finestrino dell’autobus che la sera dell’arrivo parte dall’aeroporto per Antigua, l’antica capitale. Sicuramente in collina il clima è migliore, a Guatemala City pioveva e l’umidità mi dava molta noia. Antigua vista per la prima volta di sera è un gioiellino, le case coloniali colorate, le strade di ciottoli, e molta gente in giro. Troviamo un hostal vicino alla Iglesia de San Francisco. Un ex convento davvero grazioso.
Il primo giorno guatemalteco è baciato da un sole splendido, caldo e il cielo limpido ci regala un’ottima vista del Santa Maria. Una cartolina! La popolazione è in subbuglio perché in quei giorni c’è la visita del Papa e tutti sono religiosissimi, a modo loro….
In qualche giorno scopriamo ogni angolo di questa colorata città e siamo pronte per partire per Pana. Il viaggio è lungo e il panorama un po’ monotono…foresta, colline, colline, alberi e una croce quasi ad ogni tornante…la cosa ci inquieta un po’ anche se il motivo ormai ci è noto…gli autobus sono dei vecchi school bus americani, quelli gialli dei telefilm anni 70, i tachimetri non funzionano e quando gli autisti accelerano per la mania del sorpasso ad ogni costo spesso non ce la fanno e l’unico modo di superare è farlo in curva, quando chi sta davanti rallenta…peccato che in montagna i tornanti siano stretti e non si veda mai se nell’altra corsia sta arrivando qualcun altro…però effettivamente così i sorpassi riescono…e anche bene…
Il panorama ci stupisce solo quando iniziamo a scorgere il Lago Atitlan dall’alto. Un bello spettacolo. Dall’altra parte il San Pedro e gli altri vulcani dominano l’orizzonte.
Pana è una delle tante cittadine colonizzate dagli hippies degli anni 70, le sue spiaggette in riva al lago sono davvero carine e non ostante sia una località molto turistica risulta essere abbastanza tranquilla.
La gente del posto è come me l’aspettavo: colorita, allegra, chiacchierona, ospitale e disponibile. Prima di venire qui ho letto un bel po’ su questo paese, (Massacro in ambasciata - Maximo Cajal - Sperling & Kupfer e Uomini di Mais - Vento Forte - Papa Verde - Gli occhi che non si chiudono - Miguel Ángel Asturias) l’hanno descritto sofferente, piagato, povero con ancora indelebili i segni delle dominazioni subite, dalle più antiche e note da parte ispanica alle più recenti subdole e vili da parte USA. Una voce per tutti: Rigoberta Menchù (http://www.frmt.org/). Una donna davvero forte e tenace, descrive il suo paese con molta semplicità e la sua vita è uno spaccato di storia del Guatemala che merita sicuramente una lettura (Mi chiamo Rigoberta Menchù - Elisabeth Burgos – Giunti). Le persone con cui parlo non hanno una buona opinione dell’uomo americano e io ricordo le mie letture invernali sulla United Fruit Company, dicendomi “ma allora è tutto vero”.
Il Mundo Maya è decisamente originale per quanto riguarda l’approccio alla religione cristiana. Loro se la vivono come un mix di riti animasti e riti cattolici che alla fine risulta ai miei occhi decisamente strano, kitchs, e talvolta assurdo. A San Pedro della laguna, nella cattedrale, ci sono alcune donne che prendono le misure alle statue dei Santi e in presa diretta cuciono per loro camicette da campesinos, pantaloni, vestitini…. poi con altrettanta cura le spogliano e le vestono a nuovo per la messa. I Cristi sono un po’ agghiaccianti, sanguinolenti, e i Santi purtroppo mi ricordano i manichini che c’erano nelle vetrine della Standa quand’ero bambina…. Piuttosto originali. Tuttavia è molto bello vedere l’amore con cui viene fatto e vissuto tutto questo. Alcune signore parlano ad alta voce con la Madonna e il Bambin Gesù come se fossero lì con loro a fare due chiacchiere. Ci sono degli ottimi pittori in giro che dipingono in quadri naif scorci del lago e dei suoi vulcani.
La cosa che più mi piace del Guatemala è l’esplosione dei colori delle stoffe tradizionali, dagli abiti alle semplici coperte tutto è un tripudio di rossi, aranci, gialli, verdi, viola accesi, brillanti. Tutto questo lo vedo ancora di più all’ormai turistico mercato di Chichicastenango. Un paesino bellissimo, coloratissimo, denso di tradizione ma purtropo contaminato dal turismo di massa, spesso poco rispettoso degli usi e costumi locali. Ho provato forte disprezzo per i turisti vedendoli calpestare la scalinata sacra della chiesa dove c’è tanto di cartello “ENTRATE SUL RETRO”. Davanti alla chiesa c’è un tappeto di fiori, donne vestite con Huipiles colorati e santoni che prima della messa spargono incenso sacro e salmodiano preghiere agli dei Maya e al Dio cristiano.
A Quetzaltenango oltre a partecipare a svariati trekking sui vulcani della zona, gustare ottimi piatti e farci intervistare da 2 giornalisti del Prensa Libre sull’impatto che ha il turista con la vita in Guatemala, abbiamo un bello scontro di opinioni con degli invasati statunitensi che voglio indottrinare a suon di megafono le masse cittadine al TIMORE DI DIO. Per carità ognuno creda quello che vuole, ma io i guatemaltechi li ho visti già TIMORATI di Dio per conto loro senza che nessuno debba dir loro che dopo la morte li attende lucifero.
La nostra prossima meta è Coban in Alta Verapaz, che non è Copan. Un posto per niente turistico è incontaminato. Una giornata di viaggio ci porta su queste colline immerse in una foresta variegata. Vogliamo stare in relax per qualche giorno nei pressi di Semuc Champey. Alloggiamo a Lanquin, famosa “si fa per dire” per le grotte simil carische. La vecchia chiesa del villaggio è stata semidistrutta dalle fiamme e nei dintorni c’è solo qualche casa/negozietto e qualche hostal vuoto. Da lì prendiamo un pik up fino al fiume. Semuc Champey è conosciuta dagli amanti del genere per il rafting. Noi preferiamo andare a monte dove si trova un piccolo paradiso che mi ricorda un po’ Ocho Rios in Giamaica. Cascate e vasche naturali limpidissime, in cui nuotare, lasciarsi scivolare e trasportare dalla corrente. Ci arriviamo alle 7 del mattino con le solite 2 uova all’occhio di bue nello stomaco accompagnate da purè di fagioli neri…di prima mattina…una libidine….ma è quello che passa il convento a Lanquin. La giornata in questo angolo di paradiso è davvero memorabile, e io mi dico sinceramente che il posto vale la giornata di viaggio che ci vuole per giungervi.
Siamo in compagnia di un losco figuro, che è l’autista che abbiamo ingaggiato per portarci da Coban al confine con l’Honduras e che ci riserverà una bella sorpresa: dopo una litigata ci mollerà a El Rancho alle 9 di sera in un distributore di benzina in mezzo a una decina di camionisti stupiti. Le disavventure rendono il viaggio pieno di sorprese e molto stimolante. Riusciamo a chiamare un albergo a Chiquimula e a farci tenere una camera con la promessa che saremmo arrivate intorno alla mezzanotte. L’autobus che ci raccoglie alla fermata al distributore ci porta in città intorno a mezzanotte e mezza e dopo aver raccolto il benvenuto dei numerosi scarafaggi sui marciapiedi raccogliamo anche quello dell’”usciere” dell’albergo: un omone enorme con tanto di calibro 38 riposta nella cintura dei calzoni.
Il giorno dopo prendiamo il primo autobus diretto in Honduras, dopo tradizioni popolari e natura abbiamo bisogno di vivere anche il Mundo Maya Archeologico.
La frontiera ci lascia perplessi, dobbiamo attraversarla a piedi, lasciando i bagagli sull’autobus….va bene…
Copan Ruinas mi piace subito. Il clima è stranamente secco, così almeno il caldo è più sopportabile. Il nostro hostal è in cima a una salita ripidissima che fatta con lo zaino in spalla mi ha messa a dura prova.
Le rovine di Copan sono splendide e ottimamente conservate, la scala del tempio delle iscrizioni è in fase di restauro ma si riesce comunque ad apprezzare in tutta la sua grandezza però secondo me il gioiello di Copan è la stele di Coniglio XVIII. Bellissima!
I giorni in Honduras sono rilassanti e finiscono presto….dobbiamo partire per Quiriguà per vedere la stele più pesante del Centro America… e poi ci aspetta Rio Dulce.
Tanto decantato dai miei amici Rio Dulce in se non mi è piaciuto. Molto bello il lago Izabal e il parco naturale fluviale che arriva fino al mar dei Carabi, una giornata di lancia rapida fino a Livingstone a conoscere i Garifuna, che con le loro influenze Afro completano ancor più i colori del Guatemala.
In zona invece un posticino di tutto rispetto e fino ad allora poco battuto è sicuramente la Finca Paradiso. Dopo una bella camminata nella foresta si arriva a un torrente dove c’è una bella cascata. La cosa interessante è che il torrente ha l’acqua bella fredda ma la cascata stupisce tutti: è di acqua bollente. Io mi piazzo seduta su un sasso con le chiappe al freddo e le spalle sotto l’acqua calda…..che goduria. E’ stata una giornata rigenerante.
In Guatemala sono numerosi l luoghi con acque termali e il bello è che sono spesso immersi nella natura e incontaminati.
Il viaggio prosegue verso la foresta del Peten. I siti archeologici mi hanno affascinata fin da piccola, quando li visito mi prende una sorta di delirio estatico per cui cammino tra le rovine instancabilmente per ore senza trascurare nemmeno un particolare. Alloggiamo nell’area del Parco di Tikal…un bel salasso economico per il nostro budget di viaggio che è sempre ridottissimo ma è l’unico modo per poter stare all’interno delle rovine prima dell’alba e dopo il tramonto, con poca gente in giro.
La mattina sveglia alle 4.00 (pazze!) non vogliamo perderci l’alba dalla cima della piramide 64. Ci incamminiamo con la pila in mano all’interno della foresta in compagnia di altri folli come noi. Buio totale. L’emozione è grande. Per arrivare alla piramide ci vuole un po’ di tempo e la salita è bella ripida. Ci appollaiamo in alto a guardare l’orizzonte…le cime delle altre piramidi spuntano dalla foresta come tanti cappelli. Le scimmie urlatrici ruggiscono e qualcuno dichiara: è il giaguaro del Peten!...va bene…ognuno ha le sue fantasie. Ad un certo punto sentiamo un fischio che se all’inizio era quasi impercettibile poi riesce a infastidire i nostri timpani…una guardia ci spiega essere il rumore delle ali di un minuscolo insetto che abita negli alberi di Tikal. E’ spettacolare, la vista ci toglie il fiato. Tikal è davvero grandiosa.
Il caldo man mano che il sole cresce si fa sempre più insopportabile, c’è molta umidità e riusciamo a vagare in giro fino alle 11.00, poi torniamo a sonnecchiare in albergo e lasciamo il sito alle orde di turisti arrivati con i pullman da Flores. Alle 15.30 torniamo nella foresta non possiamo perderci il tramonto. Tikal è grande e ci vogliono molte ore per visitarla tutta. Alla fine il primo giorno camminiamo per 10 ore e per vederla tutta ci impiegheremo 2 giorni e mezzo.
Gli ultimi giorni di viaggio li passiamo a Flores da dove riusciamo a visitare altri siti sperduti nella foresta.
Sono stanca ma appagata da questo Mundo Maya così denso di sorprese.
Durante il viaggio di ritorno mi addormento all’aeroporto di Miami e un’hostess mi sveglia…senorita estamos bajando en Madrid….

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